L’emergenza sanitaria ha comportato una riorganizzazione dello svolgimento delle attività didattiche nelle scuole e università. La modalità da remoto ha fatto emergere disuguaglianze a livello territoriale e sociale che dovrebbero essere eliminate e ha evidenziato come la didattica in presenza non possa essere sostituita dalla “remotizzazione” integrale
Università e scuole chiuse, corsi, lezioni, verifiche ed esami a distanza, “in remoto”. Questo è lo scenario dell’istruzione accademica e scolastica italiana in tempo di emergenza sanitaria da Covid.
La “remotizzazione” delle università e delle scuole in Italia è un processo relativamente nuovo (ha caratterizzato solo gli atenei privati telematici) legato, ma non coincidente, alla digitalizzazione. I processi di digitalizzazione delle università e delle scuole fanno, infatti, riferimento all’utilizzo di strumenti digitali per supportare la didattica in presenza (in inglese e-learning), mentre la remotizzazione implica l’eliminazione delle attività in presenza e il passaggio completo delle attività didattiche in modalità “da lontano” (distance learning).
Sulla base dei dati disponibili, a un anno dalla crisi pandemica, risulta che la remotizzazione delle università e delle scuole abbia avuto l’effetto di aumentare le disuguaglianze sia a livello aggregato che disaggregato. La pandemia ha accelerato il ruolo di internet nell’influenzare le dinamiche socio-economiche, creando fenomeni di esclusione e disuguaglianze (v. il post di Paolo Clarizia).
A livello aggregato si nota una marcata differenziazione nelle capacità di organizzare la didattica online da parte di scuole e università. Tale capacità, in media, è maggiore nelle università e nelle scuole secondarie, minore nelle scuole dell’infanzia e primarie. Si notano, inoltre, profonde differenziazioni di tipo socio-geografico con una maggiore organizzazione della didattica a distanza nei contesti più ricchi, nei centri urbani e nelle città del Nord o del Centro, minore nei contesti meno avvantaggiati e nelle aree interne del Sud caratterizzate spesso da sistemi socio-culturali-ambientali più deboli. Nelle regioni del Mezzogiorno risulta poi più ampia la forbice tra la copertura di rete internet a banda larga (infrastrutturazione-offerta) e la diffusione dei servizi di connettività veloce broadband e ultrabroadband (penetrazione-domanda). Se, infatti, in media la copertura della banda larga consentirebbe potenzialmente all’82% delle famiglie italiane di accedere a servizi internet veloci, solo il 35% di esse possiede effettivamente una connessione ad alta velocità e la percentuale scende al 31% nel Sud. Emblematico il caso delle regioni Calabria e Sicilia che, pur avendo usufruito di investimenti pubblici che hanno permesso di raggiungere una copertura infrastrutturale superiore al 94%, non hanno registrato una significativa domanda di servizi di connessione da parte della popolazione (Elaborazioni dati Relazione Annuale Agcom). Il grafico 1 evidenzia la situazione a livello regionale e nazionale.
Graf 1. Confronto tra diffusione di servizi di connettività veloce e copertura infrastrutturale a banda larga (velocità di connessione ≥30 Mbps). Valori %
Fonte: Elaborazioni su dati Agcom, 2021
Considerando, poi la sola copertura territoriale della tecnologia qualitativamente migliore FTTH – Fiber to the home, e che dovrebbe riguardare tutte le strutture scolastiche, si evidenzia un gap abbastanza rilevante fra le regioni italiane che incide sul grado di eccellenza e di ritardo nella digitalizzazione degli edifici scolastici (grafico 2).
Graf 2. Copertura infrastrutturale a banda ultralarga FTTH – Fiber to the home. Valori %
Fonte: Elaborazioni su dati Agcom, 2021. Dati Valle d’Aosta non disponibili.
A livello disaggregato, la remotizzazione alimenta un solco profondo tra studenti “di serie A” (coloro che riescono a mantenere un certo livello di apprendimento), e studenti di “serie B” (quelli che rimangono indietro). Da analisi condotte della Fondazione Agnelli le categorie di studenti maggiormente danneggiati dall’interruzione delle attività didattiche in presenza risultano: i) gli studenti che non possiedono connessioni a banda larga o dispositivi che consentano loro di seguire regolarmente le lezioni online; ii) gli studenti che provengono da famiglie meno agiate e gli studenti con una scarsa motivazione; iii) gli studenti diversamente abili (il 3,7 per cento del totale). Non tutti gli studenti hanno, infatti, a disposizione gli strumenti necessari per la scuola e l’università da remoto. Secondo dati Istat, soltanto il 22% delle famiglie italiane possiede un pc o un tablet per componente e nelle regioni del sud il 41,6% delle famiglie non possiede neppure un computer. Inoltre, poiché la scolarità a domicilio dipende fortemente dall’aiuto dei genitori, è inevitabile che un contesto familiare non favorevole accresca le disuguaglianze.
Durante il periodo di emergenza, secondo i dati rilevati dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), su un totale di 8,4 milioni di studenti italiani, il 12,7% non ha usufruito della didattica a distanza. Si tratta quindi di una parte consistente di studenti, circa un milione, tagliata completamente fuori dal processo educativo.
In questo contesto di accelerato ricorso alle tecnologie, l’esclusione digitale rischia di trasformarsi in esclusione sociale, educativa, informativa e culturale con ricadute sul piano economico. Per evitare ciò, sono necessari da un lato interventi di politica economica atti a colmare le diseguaglianze territoriali infrastrutturali e il cosiddetto “digital divide”, dall’altro, si deve tener conto del fatto che la remotizzazione integrale non può rappresentare la via di sviluppo idoneo per le future attività d’istruzione. Questo perché fra le funzioni della scuola e dell’università non rientra solo la trasmissione di conoscenze e competenze, ma anche il senso e i valori della comunità, della socialità, del rapportarsi con l’altro. Scuola e università in presenza sviluppano capacità critica, creano fraternità e più “umanizzazione del mondo”. La didattica a distanza potrebbe però avere carattere integrativo visto l’indubbio potenziale di diffusione, ma non sostituire quella in presenza. La formazione online, infatti, pur venendo incontro agli studenti lavoratori e pur aumentando il numero di iscritti alle università, risulta essere sempre una formazione virtuale ‘in solitudine’, che non favorisce la partecipazione alla vita di comunità reale dove si impara a stare insieme, conoscersi, confrontarsi, a costruire la propria personalità e la propria identità.
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