La creazione di false identità digitali è un fenomeno molto diffuso sui social media. Per tentare di ridurre l’anonimato e riconoscere come responsabili della diffusione di fake news e di comportamenti non idonei sul web le persone fisiche che si celano dietro gli account “falsi”, alcuni esperti dell’International Risk Governance Center hanno proposto di introdurre una proof of personhood.
I social media hanno ormai acquisito un ruolo centrale nel quotidiano, determinando un mutamento rispetto alla circolazione online delle informazioni: è infatti proprio su tali piattaforme che si diffondono le principali notizie e hanno origine la maggior parte dei dibattiti pubblici.
Sebbene ciò favorisca un arricchimento personale, sociale e professionale, diversi sono i rischi che possono derivarne: spesso accade che mediante la creazione di false identità virtuali vengano divulgate fake news, in grado di distorcere dibattiti e decisioni politiche (ne abbiamo già parlato qui, qui e qui).
Facebook e Twitter, soprattutto, perseguono una spietata lotta agli account falsi che possono essere creati automaticamente, da un software adeguatamente programmato, oppure manualmente da una persona fisica (ne abbiamo già parlato qui). I falsi “manuali” sono ritenuti maggiormente pericolosi di quelli automatici dal momento che, sembrando più credibili e reali, sono usati per frodare o per diffondere disinformazione e teorie complottiste.
La facilità di creare tali false identità è legata all’inevitabile difficoltà di irrogare sanzioni ai soggetti che si celano dietro di esse per differenti ordini di motivi: in primo luogo tali identità sono caratterizzate dall’anonimato; in secondo luogo esse possono essere facilmente sostituite, dal momento che, se viene sanzionato un determinato account, lo stesso utente può crearne un altro con le stesse caratteristiche; è possibile inoltre possedere contemporaneamente più identità false.
Per tentare di risolvere il rapporto conflittuale che lega l’anonimato alla responsabilità, alcuni esperti dell’International Risk Governance Center (IRGC) hanno elaborato un policy-brief proponendo di collegare tutti gli account presenti sui social media a un’identità verificata mediante una proof of personhood, cioè una “prova della personalità”. La proposta sarebbe quella di distribuire dei tokens digitali – generatori di codici numerici pseudocasuali –, corrispondenti unicamente ad una sola persona fisica a cui ogni account virtuale verrebbe ricondotto senza essere integralmente identificato. Al fine di garantire una maggiore affidabilità delle informazioni e delle comunicazioni che circolano sui social media, potrebbero essere distribuiti i suddetti tokens per conteggiare il numero di followers di un account o di likes che riceve un contenuto (indicatori di visibilità e reputazione online). Si distinguerebbero così gli account “veri” e “falsi” e si potrebbero individuare i responsabili della diffusione di notizie non veritiere e coloro che adottano comportamenti non adeguati per i social networks.
È necessario tuttavia interrogarsi sulla fattibilità e sull’efficacia di un sistema di identificazione basato sui tokens. Tramite la loro distribuzione un social network potrebbe bloccarne uno tacciato di violazione delle regole, così disabilitando tutti gli account ad esso collegati. Ciò comporterebbe una rinnovata fiducia nei confronti delle piattaforme digitali, ma richiede senza dubbio una particolare elaborazione tecnica e logistica e l’investimento di risorse economiche.
Si ipotizza di utilizzare tale sistema dapprima su base locale e volontaria, per poi procedere ad una sua diffusione coinvolgendo istituzioni e aziende.
Potrebbe risultare indubbiamente utile incrementare l’attuale sistema di segnalazione di account falsi da parte di altri utenti mediante un sistema innovativo di identificazione degli stessi: innumerevoli sono tuttavia le sfide che si pongono in relazione al bilanciamento tra la libertà di espressione, la necessità di sicurezza delle piattaforme online e di identificazione dei soggetti che agiscono nel mondo virtuale.
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