Un domenicano nel Palazzo: il Ragioniere generale Vito De Bellis

Memorabile il ritratto in poche righe che Alberto De’ Stefani, dal 1922 al 1925 ministro delle Finanze nel governo fascista, ci ha lasciato nelle pagine del suo libro di memorie Una riforma al rogo a proposito di Vito De Bellis, ragioniere generale dello Stato.

De Bellis (Polignano a Mare, 1874-Roma, 1932) era già in carica quando Mussolini andò al potere, ma esplicò la sua azione più significativa soprattutto nel primo decennio del regime. Non risulta tuttavia che fosse fascista (né tantomeno, a dire il vero, antifascista). Era quel che si dice un tecnico puro, fedele seguace della religione dei numeri. De’ Stefani ne ricorda gli aspri scontri con Mussolini nei primi mesi del nuovo governo: «il Signor De Bellis deve rassegnarsi ad essere un puro e semplice funzionario esecutivo: ragioniere, soltanto ragioniere», aveva scritto il duce al suo ministro lamentando d’essere «continuamente preso in giro da questo arnese della vecchia politica di Cagoia [alias Nitti]».

Ma ben presto il duce si sarebbe ricreduto: non avrebbe anzi più potuto fare a meno della indiscutibile competenza tecnica del suo Ragioniere generale. Questi, con De’ Stefani, fu l’ideatore nel 1923 della riforma delle ragionerie, che portò le ragionerie centrali (collocate fisicamente in ogni Ministero e dipendenti dal rispettivo ministro) sotto l’egida gerarchica della Ragioneria generale. Nasceva così il «circuito delle ragionerie», le cui propaggini si diramavano in ogni palazzo ministeriale ma il cui cervello centrale risiedeva nel quadrilatero di via Venti Settembre. Si rafforzavano i controlli, si stringevano le maglie della spesa, si moltiplicavano i visti e le autorizzazioni. E De Bellis, deus ex machina occulto della riforma, assurgeva a un grado gerarchico superiore a quello dei direttori generali. Il bollino rosso, introdotto nel 1923, segnalava in base alla spesa quali leggi potessero essere approvate e quali no: ed era lui, il Ragioniere generale, l’unico legittimato ad apporre quell’indispensabile lasciapassare.

 

Il Ragioniere Generale dello Stato Vito De Bellis possedeva, nell’adempimento dei propri compiti, l’intransigenza di un domenicano. Egli era il mio più strenuo collaboratore; il suo viso, pallido e smunto, assomigliava a quello di un asceta: la bocca sottile rivelava le sofferenze dell’animo per essere odiato (sì, odiato) da tutti appunto per l’inflessibilità nel proteggere il danaro del popolo dai mille avvoltoi che gli stanno intorno e da roditori e parassiti.

 

Alberto De’ Stefani, Una riforma al rogo, Roma, Volpe, 1963, p. 73 (la lettera di Mussolini è a p. 74).