In tutto il mondo si levano voci preoccupate per l’impatto della pandemia sulle democrazie, le libertà, l’affermazione di principi universali sui diritti dell’uomo. Freedom House, una organizzazione non governativa internazionale fondata da Eleanor Roosevelt nel 1941, con sede a Washington, ha calcolato nell’ottobre scorso che in un quarto dei Paesi del mondo la pandemia ha prodotto abusi di potere e anche violenza, e che in metà degli Stati, a causa della pandemia, sono state introdotte limitazioni alla libertà di manifestazione del pensiero, oppure controlli sull’informazione (Sarah Repucci e Amy Slipowitz, Democracy under Lockdown: the Impact of Covid 19 on the Global Struggle for Freedom).
Il timore della diffusione del contagio ha indotto alcuni Stati a rinviare le elezioni. Nel Parlamento europeo si sono udite parole preoccupate sulla possibilità che la Cina sfrutti la pandemia per influenzare il rispetto della rule of law (lo Stato di diritto) in Europa. Il Social Science Research Council, nella serie intitolata Anxieties of Democracy, ospita studi sulla crisi che la pandemia può causare a danno di democrazia e libertà. Democracy in Times of Pandemics. Different Futures Imagined è il titolo di un volume curato per Cambridge University Press da Miguel Pojares Maduro e da Paul W. Kalen. Un titolo analogo (De la Démocratie en Pandémie. Santé, recherche, éducation) ha dato la filosofa francese Barbara Stiegler a un volume che è appena uscito per i tipi di Gallimard a Parigi.
Dall’altra parte, in Italia, secondo il cinquantaquattresimo Rapporto Censis (2020), quasi il 58 per cento dei nostri concittadini è disponibile a rinunciare alla libertà personale in favore della salute collettiva. Dinanzi al diffondersi della pandemia nel mondo occidentale, si sentono sempre più voci ammirate della reazione di un ordinamento non democratico come quello cinese. Anche il presidente francese Emmanuel Macron si è chiesto se non occorra ridurre la democrazia e accettare qualche forma di autoritarismo, per tornare a progredire. Quasi tutti hanno accolto di buon grado i freni posti, in nome della sicurezza, al traffico aereo internazionale.
Continua a leggere l’editoriale di Sabino Cassese pubblicato su La Nazione del 31 gennaio scorso.