Che cosa resta dell’amministrazione pubblica?
In tema di pubblica amministrazione vi sono ormai numerose voci critiche. Alcune esprimono l’insofferenza di chi detiene il potere politico e pretende che l’amministrazione sia la fedele e meccanica esecutrice della sua volontà; altre sono più preoccupate dell’effettiva capacità dell’amministrazione di svolgere i suoi compiti; altre ancora reagiscono all’eccessivo peso di regole e controlli. In questo quadro, molteplici sono i fattori di crisi, alcuni di origine esterna alle amministrazioni, i restanti provenienti dallo stesso corpo amministrativo. Essi causano, nel complesso, un significativo restringimento del perimetro di azione delle pubbliche amministrazioni, a sua volta frutto di una più generale tendenza a considerare il diritto amministrativo come un campo dominato solo da due tensioni, quella tra legge e amministrazione e quella tra giudice e amministrazione.
Politica e amministrazione: «the Italian Style»
L’articolo prende in esame un profilo cruciale per comprendere i vizi e le virtù della pubblica amministrazione in Italia: il rapporto tra politica e burocrazia, con particolare riferimento all’amministrazione centrale dello Stato. Sono così ricostruiti, indagandone le cause e gli effetti, due fenomeni che mostrano la mancata separazione tra politica e amministrazione nel sistema italiano: la «esondazione» legislativa — ad opera di Governo e Parlamento — nelle scelte amministrative e le modalità con cui sono stati con il tempo disciplinati il sistema delle nomine dirigenziali e la carriera degli stessi dirigenti. Sono poi illustrati due casi di riforme, una fallita e una riuscita, in materia di dirigenza pubblica. In conclusione, sono presentati i principali nodi problematici del rapporto tra politica e amministrazione e vengono prospettati alcuni possibili rimedi nel breve e nel lungo periodo.
Come le attività della Corte dei conti incidono sulle pubbliche amministrazioni
Le attività della Corte dei conti hanno la capacità di pervadere l’agire quotidiano delle pubbliche amministrazioni, soprattutto a livello funzionale. Il saggio esamina come, in merito alle principali categorie di attività svolte dalla Corte (in materia di controlli, agenti contabili e accertamento della responsabilità amministrativa), le amministrazioni si lasciano condizionare in molti aspetti della loro azione, anche sulla base di riflessi condizionati o, più o meno fondati, timori. Tale analisi tiene conto della enorme complessità del quadro normativo in materia di controlli e delle disfunzioni che discendono, altresì, dalla sovrapposizione di compiti e ruoli. La perdurante crisi della finanza pubblica esacerba un tale scenario. Tuttavia, a livello territoriale, dove le attività della Corte non possono avere la stessa pervasività che raggiungono a livello centrale, cattivi usi delle risorse pubbliche risultano più frequenti e diffusi.
Monica Delsignore e Margherita Ramajoli
La prevenzione della corruzione e l’illusione di un’amministrazione senza macchia
Lo scritto esamina il sistema di prevenzione alla corruzione vigente in Italia, per proporre alcune considerazioni critiche quanto alla capacità dello stesso di contribuire al miglioramento dell’azione amministrativa. La tendenza a enfatizzare la necessità di rigore e etica ed a introdurre regole, regolazioni o atti generali al fine di garantire l’assenza di corruzione e di rapporti o pressioni dall’esterno, dimentica o finisce per non approfondire le cause strutturali e organizzative che favoriscono il malfunzionamento dell’amministrazione, contribuendo anzi allo stesso. Se i fenomeni di corruzione sono certamente corresponsabili dell’attuale crisi dell’amministrazione, essi non sono gli unici. Concentrare lo sguardo solo su di essi non è utile a realizzare il dettato costituzionale che nell’enunciare i principi dell’imparzialità e buon andamento ambisce ad un’amministrazione democratica, capace di compiere scelte e adottare decisioni anche complesse.
La pubblica amministrazione sperduta nel labirinto della giustizia penale
L’analisi si concentra sulle interferenze tra il giudizio penale e la discrezionalità amministrativa, a partire dai casi concreti, dalle ratio decidendi in essi espresse e dalla loro circolazione nella prassi giurisprudenziale. Sono prese in considerazione sia le ipotesi nelle quali il provvedimento amministrativo funge da presupposto della punibilità, sia quelle in cui, viceversa, il provvedimento legittima un comportamento altrimenti penalmente vietato, sia, infine, quelle in cui la fattispecie di reato è la stessa condotta del funzionario nell’esercizio del proprio dovere d’ufficio. Dall’indagine emergono incoerenza, instabilità e segmentazione degli orientamenti giurisprudenziali tali da suggerire che la giustizia penale funzioni come un dispositivo di dispersione del senso della funzione amministrativa. Questo rischio risulta intensificato dalla possibilità di condizionare i fini e lo svolgimento della discrezionalità amministrativa, di cui il giudice penale risulta fare ampiamente uso. Il lavoro segnala però anche la presenza di controspinte giurisprudenziali acutamente consapevoli dell’esigenza di mantenere in equilibrio le esigenze della politica criminale e quelle della cura degli interessi pubblici affidata all’amministrazione.
Gian Domenico Comporti ed Elisabetta Morlino
La difficile convivenza tra azione penale e funzione amministrativa
Quali sono gli effetti che l’esercizio dell’azione penale produce sulla funzione amministrativa? Quali le interazioni tra giudicato penale e provvedi- mento amministrativo? Il saggio esamina il tema dell’implicazione tra giudizio penale e funzione amministrativa in due settori, quelli del governo del territorio e della tutela dell’ambiente, in cui tale intersezione si presenta con maggiore frequenza e, allo stesso tempo, porta con sé conseguenze che incidono sulla tenuta di valori costituzionalmente rilevanti. Sulla base di un’analisi empirica di dati e casi emblematici, gli Autori individuano le modalità con cui si declina il rapporto tra azione penale e funzione amministrativa e i problemi che da esso emergono in termini di stabilità dell’azione amministrativa, certezza dei consociati, tutela di valori costituzionalmente rilevanti. Il saggio conclude auspicando la realizzazione di un rinnovato equilibrio tra i poteri dello Stato e l’individuazione di forme di raccordo tra gli stessi.
Il giudice amministrativo e l’amministrazione: controllo, guida, interferenza
Nell’ordinamento italiano è assicurata la piena tutela nei confronti della pubblica amministrazione e questa piena tutela ha sicuramente contribuito a rafforzare i diritti dei cittadini, a ridurre l’arbitrio nell’esercizio del potere e ad assicurare il tasso di accountability del potere pubblico. Il sindacato del giudice amministrativo si è quindi esteso ad una varietà di situazioni e conflitti che rispecchiano la complessità delle società moderne e sul suo ruolo. Nel processo amministrativo si riflettono così tensioni e conflitti che dipendono in larga parte dalla confusione normativa e dalla crescente debolezza dell’amministrazione italiana, che dispone di poche risorse e di modi di produzione antichi e superati, oltre ad essere sottoposta ad un regime di responsabilità che favorisce l’inerzia rispetto all’azione. Il giudice finisce così spesso per assumere non solo un ruolo di controllo, ma anche di guida e di supplenza rispetto all’amministrazione, con il rischio di contribuire ad aumentare, e non a ridurre, l’incertezza e la frammentazione.
Il giudice del lavoro che «rema contro»
Da oramai venti anni, le controversie in materia di pubblico impiego sono affidate al giudice ordinario. Il passaggio dal giudice speciale al giudice comune ha avuto un impatto profondo sulla gestione del contenzioso, i cui esiti, complessivamente considerati, non appaiono soddisfacenti. Il processo del lavoro è concepito per tutelare il dipendente come parte debole del rapporto, ma nelle pubbliche amministrazioni il rischio è quello opposto, di una sovra- protezione degli interessi dei dipendenti. Il giudice del lavoro, poi, ha una scarsa conoscenza dei meccanismi di funzionamento della pubblica amministrazione e, quindi, può adottare decisioni poco ponderate o lesive delle prerogative dell’amministrazione. Queste distorsioni non generano effetti solo sul piano processuale, ma possono condizionare le scelte, la credibilità e la forza negoziale del datore di lavoro pubblico anche sul piano sostanziale, nella gestione dei rapporti con i dipendenti e con le organizzazioni sindacali.
Prerogative e tutele delle organizzazioni sindacali nel pubblico impiego
La quarta riforma del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (c.d. riforma Madia), è intervenuta dopo una serie molto lunga di interventi normativi che si sono dipanati nell’arco di oltre venti anni, e che sono stati ispirati da visioni diverse del rapporto di lavoro pubblico. La recente riforma ha segnato una parziale inversione di tendenza rispetto all’ultima riforma del 2009, restituendo lo spazio alla contrattazione collettiva che era stato eroso nel 2009, ed è stata per questo accolta con favore. Tuttavia, se letta in combinazione con le recenti tornate contrattuali, essa ha avuto un esito meno positivo di quanto non sembri a prima vista: la contrattazione collettiva infatti finisce con l’avere una serie di spazi e di prerogative che vanno forse oltre le intenzioni del legislatore, con il risultato di erodere il ruolo dell’amministrazione come datore di lavoro ritornando verso una gestione condivisa di molti aspetti del rapporto di lavoro e rallentando l’efficienza della amministrazione.
I pubblici impiegati tra vecchi e nuovi concorsi
La capacità dell’amministrazione di assicurare i risultati per cui essa esiste dipende anche dalle persone che la compongono. Il saggio si propone dunque di esaminare le condizioni del personale pubblico, a partire, anzitutto, da alcuni dati numerici. In secondo luogo sono descritte alcune conseguenze sul funzionamento della p.a. che derivano (anche) dalle condizioni del personale e, in particolare, dalla prevalenza, all’interno dell’amministrazione, di una pseudo cultura giuridico-amministrativa. Da ultimo, sono esaminate le più recenti novità in tema di reclutamento del personale, in considerazione del fatto che le modalità con cui si svolgono i concorsi, influenzando la composizione della platea di candidati, determinano, di fatto, il volto dell’amministrazione.
Che resta delle strutture tecniche nell’amministrazione pubblica italiana?
Vi è ancora una solida struttura tecnica nella amministrazione pubblica italiana? Essa, qualora vi sia, rappresenta una minaccia democratica secondo l’idea per la quale vi sarebbero dei «mandarini» che decidono a dispetto della volontà popolare, nel chiuso di reti di potere relazionale, specie sovranazionali, oppure costituisce un’opportunità, meglio, un’àncora senza la quale lo Stato finirebbe per essere travolto dalle numerose e complesse difficoltà nelle quali si dibatte? Il presente contributo mette in evidenza come tanto nell’amministra- zione ministeriale quanto tra le autorità amministrative indipendenti vi sono esempi di strutture tecniche, come il Dipartimento del Tesoro, la Ragioneria generale dello Stato, che efficacemente hanno affrontato problemi complessi (le crisi bancarie, la collocazione del debito pubblico, la tenuta dei conti pubblici, ecc.). Per altro verso, l’analisi mostra esempi di segno opposto. Ministeri tecnici svuotati di competenze professionali, come il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, oppure authority che negli anni della crisi hanno subito uno «spiazzamento», come l’Autorità garante della concorrenza e del mercato rispetto alla funzione antitrust. La tesi sostenuta è che delle strutture tecniche, attesa la complessità dei problemi affrontati dalle democrazie contemporanee, sono indispensabili e debbano essere difese. Svuotarne la professionalità e l’autonomia per riaffermare il primato della politica sulla tecnica è un errore da evitare.
Stefano Battini e Francesco Decarolis
L’amministrazione si difende
Una parte consistente del diritto amministrativo (e del diritto penale amministrativo) mira a contrastare il rischio che il funzionario amministrativo assuma, colposamente o dolosamente, decisioni o condotte orientate alla soddisfazione di un interesse particolare in luogo dell’interesse collettivo. Molto più trascurata è invece una diversa preoccupazione, relativa al rischio che il funzionario amministrativo non assuma decisioni o condotte utili alla realizzazione dell’interesse pubblico, e ne assuma invece altre, o resti inerte, per timore che da quelle scelte possano derivare disutilità individuali. Su questo fenomeno, noto come amministrazione difensiva, lo studio presenta due nuovi tipi di evidenze. La prima, basandosi su dati relativi alle polizze assicurative per responsabilità erariale offerte sul mercato italiano, mira a dimostrare l’esistenza stessa di questo fenomeno di cui molto si parla ma che resta alquanto elusivo. La seconda, combinando dati sull’interventismo della Corte dei conti con dati sulle tempistiche di indizione degli appalti di lavori pubblici, mira a quantificare gli effetti dell’amministrazione difensiva in un settore chiave per l’economia dell’azione amministrativa. Sulla base dei riscontri empirici presentati nello studio, si discutono alcuni possibili interventi regolatori utili per limitare i problemi generati da comportamenti difensivi dell’amministrazione pubblica.