Riccardo Lombardi: ministeri e grandi interessi

Nel 1965 stava finendo la prima stagione della politica di centro-sinistra, quella delle grandi speranze. Al governo c’era ancora Aldo Moro (era il Moro II, scaturito dalla crisi dell’estate 1964) ma le riforme strutturali chieste dai socialisti, i principali alleati della Dc nella coalizione, si andavano facendo via via più sbiadite, si allontanavano nel tempo.

Il clima del Paese era teso, la maggioranza inquieta. Riccardo Lombardi (1901-1984), negli anni precedenti uno dei principali propugnatori di quella nuova alleanza tra socialisti e cattolici, aveva assunto una posizione critica, non aderendo al secondo governo Moro. La sua intervista al redattore de «L’Espresso», Nello Ajello, registra la forte delusione, principalmente sul ruolo dei ministeri e sulla loro dipendenza dai grandi interessi economici e corporativi.

 

Le cosiddette riforme di struttura e quella dell’amministrazione statale sono, in fondo, la stessa cosa, camminano di pari passo. Prendiamo due esempi, due ministeri fondamentali per la vita d’un paese moderno: quello dell’Agricoltura e quello dell’Industria. Il primo è un organismo caotico, ricco di interferenze su enti e sottoenti di ogni tipo, responsabile di enormi sperperi di risorse e di denaro cui non ha corrisposto alcuna vera modificazione dell’agricoltura italiana.

Ma il peso maggiore che grava su di esso è di natura politica, è una propaggine, un’escrescenza paralizzante: mi riferisco alla Federconsorzi. Ma è stata proprio questa organizzazione, che lavora all’interno del ministero, lo strumento più adatto all’attuazione della politica agraria perseguita dai governi italiano passati e presenti, a direzione DC.

Ora, com’è possibile pensare a una riforma dell’amministrazione in questo settore senza tagliare prima gli artigli alla Federconsorzi? Ma la Federconsorzi, come si sa, è intoccabile: su questo tema i democristiani non accettano neppure di discutere. E un altro tema, rispetto al quale essi sembrano sordi, riguarda la creazione degli enti di sviluppo in agricoltura. Eppure, se questi enti venissero creati, e se ne consentisse un efficace funzionamento, ciò basterebbe a scaricare il Ministero dell’Agricoltura da un numero rilevante di compiti e di poteri: significherebbe trasformarlo.

Lo stesso discorso vale per la maggior parte degli altri ministeri. Vale per quello dell’Industria, il quale non dispone di nessuno di quei servizi che sarebbero indispensabili per renderlo autonomo dai grossi interessi industriali. Spetta a Confindustria, per una specie di tacito accordo, il compito di fornirgli dati, statistiche, rilevazioni fondamentali alla vita economica del paese.

È una realtà della quale ho potuto rendermi conto di persona. Quando, tre o quattro anni fa, cominciammo a condurre la battaglia per la riduzione delle tariffe elettriche, avemmo l’ingenuità di rivolgerci al due ministeri competenti, Industria e Lavori pubblici, perché ci fornissero le notizie basilari (…). Era come cercare una quercia nel deserto. Gli unici bollettini d’informazioni economiche di cui disponessero erano quelli dell’ANIDEL, l’associazione degli industriali elettrici.

 

Nello Ajello, Nenni ha ragione ma…, intervista con Riccardo Lombardi, in «L’Espresso», 29 agosto 1965.