L’oramai sconfinata produzione scientifica dedicata al tema della democrazia digitale ha esaminato e discusso ampiamente dei numerosi benefici (e degli altrettanto numerosi problemi) che le tecnologie pongono ai sistemi democratici contemporanei. Così ha fatto anche l’analisi istituzionale e para-accademica, occupandosi soprattutto dei molti possibili innesti delle innovazioni tecnologiche sugli apparati pubblici. In pochi – tra costoro c’è Giancarlo Vilella – hanno provato invece a conciliare i due aspetti. Hanno cioè proposto una riflessione ad ampio respiro sul binomio tecnologia-democrazia, adoperando però la prospettiva dell’amministratore pubblico. Costui è consapevole della necessità di incanalare l’innovazione tecnologica in una dimensione che sia congeniale all’apparato burocratico, affinché questo si trasformi, prima, e dopo favorisca la trasformazione dei modelli partecipativi pubblici. È con questo obiettivo che Vilella sistematizza i suoi scritti degli ultimi anni: orientare l’amministrazione che verrà nel dedalo delle democrazie digitalizzate.
Affrontare un tema ampiamente dibattuto senza risultare ripetitivi è un’operazione complessa, a maggior ragione se il tema di cui si parla (l’imporsi della tecnologia informatica) è parte del vissuto quotidiano di moltissimi. Lo è ancora di più nel momento storico attuale, in cui la digitalizzazione ha subito una spinta importante dall’emergenza sanitaria globale. Le misure di contenimento della pandemia adottate dai governi di tutto il mondo hanno costretto le pubbliche amministrazioni ad accelerare la transizione digitale delle interazioni con cittadini e imprese (ne ho parlato QUI). Si cimenta nell’intento Giancarlo Vilella, nel suo ultimo libro. Funzionario di lungo corso in Europa, da ultimo alla guida della Direzione Generale innovazione e supporto tecnologico del Parlamento europeo, Vilella è anche un prolifico autore di rapporti e studi dedicati all’innovazione tecnologica nelle istituzioni pubbliche.
‘E-democracy’ è appunto una armonizzazione degli scritti che, nel corso degli anni, l’autore ha dedicato ai diversi aspetti del tema vasto della democrazia digitale. Delle molte riflessioni che nascono leggendo il testo, ce ne sono tre che meritano un approfondimento. A ciascuna di queste corrisponde un problema privo di soluzione.
Prima riflessione: in quale misura l’innovazione tecnologica mette in crisi i sistemi democratici? Le infrastrutture democratiche, costrette a tenere il passo con i rapidi adattamenti imposti dall’innovazione tecnologica, in quest’ultima trovano talora un alleato, ma più spesso un ostacolo (ne ho parlato QUI). Vilella non risponde direttamente alla domanda, la riformula: quali sfide pone l’avanzamento tecnologico alla democrazia? Non si tratta di una rinuncia a stabilire se e quanta democrazia sia possibile con la tecnologia, piuttosto di un suggerimento. Nel pensiero dell’autore, è necessario guardare alle priorità da seguire affinché una democrazia digitale possa esistere e funzionare. Il caso dell’Unione europea calza a perfezione. La Commissione a guida Von der Leyen ha inserito la partecipazione civica tra i punti chiave del programma di lavoro, mostrando prontezza nel momento in cui, dovendo adeguarsi alle regole di distanziamento sociale, ha ipotizzato il rafforzamento dei processi partecipativi digitali (ne ho parlato QUI).
Se il problema della democrazia digitale è – come sostiene Vilella – soprattutto un problema di priorità delle sfide cui fare fronte, diventa essenziale comprende quali strumenti consentono alle amministrazioni di pubbliche di governare con efficacia l’innovazione tecnologica. Emerge, sul punto, la lunga esperienza maturata dall’autore presso le istituzioni europee. Liberi da facili entusiasmi, le riflessioni di Vilella ci raccontano la complessità e le insidie dell’innovazione digitale presso le strutture pubbliche. Sono frutto della consapevolezza della necessità di incanalare l’innovazione tecnologica in una dimensione che sia congeniale all’apparato burocratico, affinché questo si trasformi, e favorisca successivamente la trasformazione dei modelli partecipativi. Apprezzabili, al riguardo, soprattutto i passaggi in cui Vilella racconta il (talora) faticoso processo di trasformazione digitale del Parlamento europeo. Superare la resistenza psicologica al cambiamento e vincere l’avversione all’innovazione, soprattutto quando incide su rapporti di potere consolidati, è una battaglia che si vince con piccoli passi. Non sono i cambiamenti radicali che ottengono i risultati migliori; bensì le trasformazioni progressive e graduali, favorite con le competenze e le risorse di cui l’amministrazione già dispone.
Fin qui abbiamo parlato di passato e presente. L’ultima riflessione è dedicata al futuro: come orientare l’amministrazione pubblica nel dedalo delle democrazie digitali? Prevale anche qui il pragmatismo ottimista dell’autore – più di un capitolo tra quelli che compongono il libro passa in rassegna le novità presenti e future introdotte dalla digitalizzazione alle interazioni tra istituzioni e società. Saranno fondamentali per l’amministrazione che viene la capacità di apprendimento e approfondimento, la cultura della conoscenza e la cauta ponderazione delle incognite poste dal progresso tecnologico. La burocrazia digitale del futuro, per essere volano di decisioni più trasparenti e partecipate, dovrà calibrare l’apertura al cambiamento con la comprensione dell’impatto prodotto da quest’ultimo.