Recensione a A. Cardone, Decisione “algoritmica” vs decisione politica?, 2021, ES

La decisione algoritmica può sostituire la decisione politica? L’impatto degli strumenti di intelligenza artificiale nella dialettica parlamentare rischia di minare la tenuta dell’architettura costituzionale ed i diritti fondamentali dei cittadini? Il libro di Andrea Cardone analizza un tema di estrema attualità, vale a dire quello della compatibilità degli algoritmi informatici e degli strumenti dell’intelligenza artificiale con i meccanismi della democrazia rappresentativa.

 

La pervasività degli algoritmi informatici e degli altri strumenti di intelligenza artificiale (la cui distinzione è stata recentemente sottolineata da Cons. Stato, sez. III, n. 7891/2021) costituisce ormai una notazione comune nel panorama giuridico nazionale, che tuttavia ha tendenzialmente indirizzato le proprie riflessioni sugli aspetti relativi alle decisioni amministrative automatizzate (ed alle problematiche ad esse sottese, analizzate QUI) ed alla giustizia predittiva (è notizia di pochi giorni fa l’accusa da parte del magistrato-robot in Cina per otto diversi tipi di reato con precisione al 97%). Gli obiettivi del libro di Andrea Cardone, invece, sono diversi, poiché investono il terreno delle decisioni politiche in senso stretto e la contestuale relazione con la legittimazione democratica parlamentare. La traccia seguita dall’Autore cerca, in buona sostanza, di rispondere a quattro quesiti, che possono essere così sinteticamente esposti: quali effetti determina il ricorso agli algoritmi nel procedimento legislativo? Che impatto avranno gli strumenti informatici nella produzione del diritto politico? La crisi della rappresentanza politica può essere colmata dalle potenzialità della Rete? Infine, è verosimile (ed auspicabile) il passaggio da una democrazia rappresentativa ad una democrazia “algoritmica”?

L’approccio utilizzato dal libro è certamente di tipo induttivo, poiché è proprio dalla rappresentazione di diverse prassi parlamentari che emergono potenzialità e rischi sottesi all’utilizzo generale degli strumenti informatici nei procedimenti di creazione del diritto positivo. È apprezzabile, inoltre, il puntuale richiamo alle esperienze “esogene”, che hanno messo in luce l’inadeguatezza della decisione algoritmica in luogo della decisione politica in contesti costituzionali completamente differenti tra loro. Dall’esperienza islandese, a titolo di esempio, si rintracciano alcuni limiti a quella che può essere definita iniziativa legislativa algoritmica, come l’ineguale distribuzione dell’accesso ad internet nonché, più rilevante dal punto di vista della tenuta democratica di un Paese, la difficoltà nel giustificare la decisione politica e la relativa assunzione di responsabilità della scelta assunta (p. 36). Non è solo la fase dell’iniziativa legislativa a risentire dell’utilizzo di strumenti informatici: l’esperienza sudamericana, infatti, ha mostrato come, attraverso il ricorso alle piattaforme di crowdfunding, anche l’istruttoria parlamentare può subire gli effetti dei fenomeni di algoritmizzazione. In buona sostanza, se una proposta testuale, ovvero emendativa, è il frutto dell’intermediazione che un algoritmo realizza in virtù delle preferenze manifestate su piattaforme digitali, risulta particolarmente complesso legittimare democraticamente la scelta e prevedere spazi effettivi di responsabilità politica (p. 44). Il motivo per il quale il volume allarga il proprio raggio prospettico ad esperienze di Paesi stranieri è fondamentalmente uno, e sembra costituire a ben vedere un monito che trova conferma nell’intera traccia del lavoro: al fine di non demonizzare l’impatto degli strumenti algoritmici e di intelligenza artificiale, bisognerebbe assumere un atteggiamento sicuramente più mite rispetto a quello delle prassi parlamentari sopra citate, recuperando la centralità dell’uomo non per giustificare eticamente le scelte, ma per ancorare queste ultime a paradigmi di democraticità e responsabilità.

La costruzione del volume dedica attenzione anche alle parentesi antecedenti alla produzione del diritto, attraverso le quali si intercettano relazioni tra il terreno della scienza giuridica e quella comunicativa. Si fa sempre più strada, invero, l’idea di sviluppare sistemi di interpretazione del consenso, fondati su modelli algoritmici, allo scopo di dare maggior voce al popolo rappresentato (come, ad esempio, la piattaforma Rousseau del Movimento 5 Stelle). A margine degli assunti benefici che potrebbero essere prodotti attraverso il ricorso alla Rete, Cardone mette in evidenza alcuni rischi figli della disintermediazione in atto dei partiti politici. In primo luogo, dalla circostanza per cui la creazione degli strumenti informatici è tendenzialmente privata emerge il pericolo di una logica di ‘scambio’ tra il partito politico, che ‘riceve il servizio’, e la società, nei cui confronti vengono promosse “misure di favore” (p. 67). Ma, nell’indagine condotta dall’A., vi è di più: lo spostamento del consenso dalla sede ‘interna’ dei partiti a quella ‘esterna’ della Rete, oltre a risultare inaccessibile a tutti (per le ragioni di digital divide già evidenziate), priverebbe di ogni effettività il diritto dei cittadini di concorrere alla determinazione della politica nazionale ai sensi dell’art. 49 Cost. Il ragionamento formulato sul versante dei rappresentanti costituisce, a ben vedere, un ponte d’oro che consente all’A. di soffermarsi sulle criticità, sempre sul piano democratico-rappresentativo, derivanti dagli effetti sottesi all’algoritmizzazione della comunicazione politica nei confronti dei rappresentati. Alla frammentazione delle istanze di questi ultimi, addirittura maggiore di quanto avviene normalmente negli ordinamenti pluralisti, il volume propone una disciplina regolatrice della Rete con cui venga consentito di scegliere tra i contenuti che, pur emarginati dal mercato, rivestano un valore significativo nella rigenerazione del dibattito democratico (p. 84).

L’analisi casistica sviluppata nelle prime due parti del volume mostra che gli algoritmi e l’intelligenza artificiale non abbiano (ancora) sostituito la decisione politica in senso stretto, collocandosi rispetto a quest’ultima come “sussidiaria”. In altre parole, la non eliminabilità dell’apporto umano si inserisce nel quadro di compatibilità costituzionale dell’utilizzo di strumenti informatici nella produzione del diritto positivo e, in particolare, aderisce all’idea della sovranità popolare disciplinata dall’art. 2 Cost. Il carattere ‘alternativo’ della decisione algoritmica assume nel volume, invero, una connotazione ausiliaria rispetto alla decisione umana, in quanto non può essere messo in discussione che all’emanazione di molti provvedimenti legislativi già concorrano gli strumenti di intelligenza artificiale. Se, come ampiamente dimostrato, ciò è vero, Cardone si chiede se la decisione politica non sia, di fatto, già “algoritmica”. Quali che siano, infatti, le potenzialità ed i limiti dell’automazione dei procedimenti di creazione del diritto, è necessario che la decisione politica sia ‘anche’ (e non ‘solo’) algoritmica, “nel senso che il ricorso agli strumenti di intelligenza artificiale serve a potenziare l’opera dell’uomo e non a sostituirla dal punto di vista dei suoi fattori di legittimazione” (p. 119). Di estremo interesse appare, inoltre, la ricostruzione sulle relazioni sussistenti tra algoritmi, strumenti informatici ed i vari modelli di democrazia, che prende le mosse dall’idea per cui la logica algoritmica legittimerebbe la decisione parlamentare “per output”, e cioè in virtù dei risultati – che si assumono soddisfacenti – che la macchina raggiunge. Mentre è evidente che una tale legittimazione di risultato collide con le logiche della democrazia rappresentativa, Cardone sostiene che il richiamo alla democrazia deliberativa (che preferisce ritenere come discorsiva) sarebbe in grado colmare quel lack of legitimacy per input, nella misura in cui ridurrebbe “gli effetti depressivi che la disintermediazione partitica e l’evoluzione della comunicazione politica nella realtà delle ICT determinano” (p. 133, ma dei rischi sottesi disintermediazione si è già dato conto QUI). In disparte dalla teorizzazione di queste due tipologie di democrazia, l’A. sostiene che solo il carattere ‘ausiliario’ della decisione algoritmica potrà condurre ad una “democrazia della responsabilità”, in grado cioè di istituzionalizzare la responsabilità politica di una scelta, ancorché assunta ricorrendo ad algoritmi e strumenti di intelligenza artificiale.

Nella parte finale del volume, Cardone sostiene che, pur essendo evidente come gli algoritmi saranno sempre più protagonisti nella dialettica parlamentare per la creazione delle leggi, un vero e proprio “algoritmo legislativo” – con cui di fatto sarebbe l’output della macchina ad affidare all’approvazione del Parlamento un progetto di legge, senza una iniziativa legislativa tradizionale – sarebbe in grado di creare delle “distopie costituzionali”. Sul versante organizzativo, infatti, non avrebbe più ragion d’essere l’attuale struttura parlamentare, a partire dall’attuale bicameralismo fino all’articolazione interna delle Camere in commissioni. Ma sarebbero anche le garanzie costituzionali ad essere lese, ove le questioni di “merito costituzionale” sarebbero assorbite dalla legittimazione per risultati imposta dalla logica algoritmica, azzerando sostanzialmente il potere di veto della promulgazione della legge affidato al Presidente della Repubblica. Nonostante dal disegno dell’opera emerga che l’intento non sia affatto quello di allontanare le opportunità che il progresso tecnologico può offrire alla società, l’A. sottolinea come per alcune scelte (e, soprattutto, per le caratteristiche ad esse sottese) debba restare impregiudicata la centralità della tradizionale democrazia parlamentare, come le decisioni precauzionali, quelle eticamente controverse e quelle di bilancio. La conclusione del lavoro, a ben vedere, rappresenta un monito per gli studiosi e per gli operatori del diritto, e sembra riportare ai famosi ‘dialoghi’ sui rapporti tra tecnica e diritto tra Natalino Irti ed Emanuele Severino: il progresso della tecnica (e per dirla con Romano, attualizzando il discorso, la “pervasività degli algoritmi”, la cui recensione è disponibile QUI) non può essere fermato, ma ciò che non può essere superata è l’immagine kantiana dell’uomo come fine di ogni ragion pratica.

Il volume di Cardone dimostra che un ragionamento prospettico che intenda includere gli strumenti algoritmici e di intelligenza artificiale nel mondo del diritto non può essere condotto in assenza di una ‘contaminazione di saperi’. La scienza giuridica, invero, deve necessariamente apprendere dai ragionamenti matematici, statistici e quantitativi, ma non può evitare – e ciò proprio per la funzione attribuita al diritto – di trovare dei compromessi con i profili antropologici e sociali. È solo questo il modo con cui le necessarie integrazioni tra tecnica e diritto potranno comportare benefici alla collettività e non porsi in contrasto con i diritti fondamentali dei cittadini.

Licenza Creative Commons
Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale