Quinto e conclusivo intervento del punto di vista dell’Osservatorio sul rapporto Draghi
Abstract: Lo scorso settembre è stato presentato da Mario Draghi alla Commissione e al Parlamento europei il report dal titolo “The future of European competitiveness” (c.d. Rapporto Draghi), in cui vengono individuate una serie di key actions per dare nuova linfa alla crescita dell’Europa e incrementarne la competitività sulla scena mondiale. Il presente post si incentra sulle tematiche della finanza e della digitalizzazione e, in particolare, sul ruolo della prima nella realizzazione del processo di innovazione tecnologica.
Quello presentato da Mario Draghi è un programma di ampio respiro, avente come obiettivo ultimo l’incremento della competitività dell’Unione Europea sul piano globale. Per perseguire tale finalità il piano d’azione delineato nel Rapporto individua tre macroaree di intervento: l’innovazione tecnologica, il processo di decarbonizzazione (transizione green) e la sicurezza.
Come si è anticipato, nel presente post verrà svolto un breve focus su quella parte del Rapporto dedicata alle riforme che l’Europa dovrebbe porre in essere per favorire lo sviluppo di un sistema finanziario a supporto dell’innovazione tecnologica. I due temi, infatti, sono strettamente correlati, essendo il corretto ed efficiente funzionamento del primo necessario per consentire lo sviluppo delle innovazioni.
Prendendo le mosse da queste ultime, il Rapporto evidenzia come l’Europa stia perdendo la sfida dell’innovazione. Il settore versa, infatti, in uno stato di forte arretratezza rispetto alle altre potenze, specie gli Stati Uniti e la Cina (“Europe is lagging in the breakthrough digital technologies that will drive growth in the future”) e siamo lontani dal perseguimento della c.d. autonomia tecnologica (tema affrontato da Emanuele Vecchione e Jacopo Palli nel post “Strategia Cloud Italia” e da Pierluigi Mascaro nel post “La battaglia tra Stati Uniti e Cina per l’esportazione dei software per la produzione dei chip”).
Alcuni dati riportati sono significativi: a partire dal 2017, il 70% di modelli di foundational AI sono stati sviluppati negli USA; tre “hyperscalers” statunitensi rappresentano oltre il 65% del mercato del cloud globale ed europeo; nel quantum computing – considerata la prossima rivoluzione nel digitale – cinque delle prime dieci aziende tecnologiche a livello globale in termini di investimenti quantistici hanno sede negli Stati Uniti e quattro in Cina.
Per poter rafforzare la propria competitività sul piano globale l’Europa deve, quindi, colmare questo enorme divario e, infatti, molte delle key actions suggerite nel piano hanno come obiettivo “closing the innovation gap”.
Che ruolo ha la finanza in tutto questo? La risposta è molto semplice: secondo il Rapporto, la circostanza che il sistema finanziario europeo (in particolare, il mercato finanziario) non sia pienamente sviluppato costituisce uno degli ostacoli al processo di innovazione tecnologica.
In Europa, infatti, non mancano imprese innovative; anzi, tra il 2008 e il 2021 sono stati infatti fondati 147 unicorni. Tuttavia, l’assenza di un ‘ecosistema finanziario’ favorevole al loro sviluppo, unitamente alla frammentazione del Mercato Unico, ne hanno bloccato il processo di espansione su larga scala (c.d. scale up), necessario per poter competere con i colossi stranieri. Conseguenza di ciò è che quelle stesse imprese e start-up innovative o ricercano capitali presso soggetti esteri, rivolgendosi prevalentemente a venture capitalist americani, oppure optano per il trasferimento della propria attività all’estero; dei 147 unicorni sopra citati, 40 hanno stabilito la propria sede negli USA.
La mancanza di un ecosistema finanziario di supporto all’innovazione deriva principalmente dalla frammentazione del mercato dei capitali e dalla relativa scarsa attrattività; conseguenza di ciò è che le imprese, per finanziarsi, ricorrono al sistema bancario, il quale tuttavia è “unsuitable for funding innovative projects in their early stages and generally insufficient for large-scale investment projects”. Secondo il Rapporto, infatti, le banche non sono ben ‘equipaggiate’ per dare supporto finanziario alle imprese innovative, mancando di expertise per valutarne e monitorarne l’attività (e, quindi, il valore).
In proposito, viene riportato che il ‘modello ideale’ di finanziamento delle imprese innovative vede la partecipazione predominante dei c.d. angel financiers (o angel investors) e dei venture capitalist, i primi soprattutto nelle fasi iniziali di avvio di una start-up, i secondi invece in quelle successive. Diversamente dalle banche, questi soggetti sono meglio in grado di valutare l’innovatività di un progetto imprenditoriale; gli angel investors perché generalmente sono a loro volta fondatori di start-up di successo o comunque soggetti con grande esperienza nel settore, i venture capitalist perché sono società di investimento professionali che forniscono capitali a società con un elevato potenziale di crescita.
Nel Rapporto si propone, dunque, intraprendere una serie di iniziative per favorire il finanziamento alternativo a quello bancario, ad esempio incrementando gli incentivi per gli investitori di capitale di avviamento. Si sostiene, inoltre, la necessità di accrescere l’attrattività del mercato dei capitali europeo, soprattutto per le IPOs (Initial public offerings), che incoraggerebbero l’avvio di attività migliorando le opzioni di finanziamento. Infine, nell’ottica di stimolare gli investimenti a lungo termine, si propongono una serie di interventi sia sulla normativa vigente che su alcuni veicoli di investimento europei, come lo European Investment Fund, al fine di migliorarne il coordinamento e la canalizzazione verso investimenti innovativi.
Queste proposte si inseriscono, peraltro, in un progetto più ampio individuato nel Rapporto, volto al completamento della Capital Markets Union.
In conclusione, gli interventi di riforma suggeriti sono molteplici. È necessario che l’Unione si attivi per realizzarli perché, se costituisce un dato di realtà il fatto che “some digital sectors are likely already ‘lost’”, è però altrettanto vero che l’Europa “still has an opportunity to capitalise on future waves of digital innovation”.