Una proposta di vendita del noto nome a dominio “.org” è stata bloccata da una decisione dell’Icann. La scelta, motivata da ragioni di interesse pubblico, va oltre questioni di natura tecnica e fa riflettere sulla relazione con il mondo economico dell’entità che governa una risorsa centrale nel funzionamento di Internet, sul suo carattere amministrativo e sul suo rapporto con la sovranità statale.
Il 13 novembre 2019 il fondo di investimento Ethos Capital ha presentato all’Icann (Internet corporation for assigned Names and Numbers, not-for-profit corporation di diritto californiano, che governa il sistema dei nomi a domino su scala globale) una proposta di acquisto del nome a dominio di primo livello “.org”, tramite un accordo con il registro Pir, gestito dalla Internet Society da circa vent’anni senza scopo di lucro e nell’interesse pubblico. Il nome .org fu concepito da Jon Postel nel 1984 per le organizzazioni di varia natura, anche internazionali. Oggi, anche a valle della “liberalizzazione” dei nomi a dominio di primo livello (dagli iniziali sette, innalzati nel corso degli anni di non molte unità, siamo arrivati a 1513 sigle), la correlazione tra nome e categoria, almeno in senso stretto, è venuta meno, ma il valore legato a tale “sigla” è ancora percepito in maniera forte tra gli operatori e le associazioni; come si vedrà, in particolare, alcuni sollevano un tema centrale, ossia che anche la gestione dei nomi a dominio possa incidere sui contenuti.
L’interesse a una gestione priva di lucro è, dunque, ancora molto forte. L’Electronic Frontier Foundation (EFF) ha lanciato una iniziativa volta a criticare fortemente la possibilità di vendita, chiedendo all’Icann di bloccarla. All’EFF si sono uniti Wikimedia, Oxfam, Greenpeace, the American Red Cross, OpenMedia, Fight for the Future, Consumer Reports, FarmAid, e decine di altre associazioni.
Qui sono emersi alcuni elementi degni di attenzione.
Innanzitutto, il Procuratore generale della California, Xavier Becerra, ha scritto una lettera all’ente sostenendo che l’“ICANN must exercise its authority to withhold approval”. Ha sostenuto, inoltre, che l’ente “is not organized for the private gain of any person…recogni[zing] the fact that the Internet is an international network of networks, owned by no single nation, individual or organization”; pertanto, è obbligatorio, per l’Icann, perseguire “the charitable and public purposes of lessening the burdens of government and promoting the global public interest in the operational stability of the Internet”.
La decisione del Board of Directors (organo decisorio dell’ente), del 30 aprile 2020, è andata proprio in questo senso: “After completing its evaluation, the ICANN Board finds that the public interest is better served in withholding consent as a result of various factors that create unacceptable uncertainty over the future of the third largest gTLD registry. Factors that were considered in determining reasonableness include, but are not limited to […] A change from the fundamental public interest nature of PIR to an entity that is bound to serve the interests of its corporate stakeholders, and which has no meaningful plan to protect or serve the .org community”.
Si nota come l’interesse pubblico sia stato posto al centro della decisione.
Le associazioni hanno gioito: secondo le visioni più pessimistiche, il passaggio in mani private avrebbe aumentato anche le possibilità di censura, perché i domini registrati sul .org di associazioni “sgradite” avrebbero potuto essere rimossi.
Naturalmente non sono mancate voci critiche, da quelle più forti di Ethos Capital a quelle più concilianti del PIR e della Internet Society. In sintesi, tali critiche hanno ritenuto che tale scelta aumenti l’inefficienza e allochi in maniera errata le risorse, impedendo una gestione sana dal punto di vista economico e finanziario. Ethos Capital aveva affermato che non avrebbe inciso sulla vita dei domini delle organizzazioni. Tuttavia, la situazione debitoria del PIR (che opera come un soggetto di diritto pubblico) faceva intuire che il risanamento dei conti avrebbe potuto incidere sensibilmente sulla assegnazione dei nomi, anche per ragioni solo formalmente contabili (“a private equity-owned registry would have a financial incentive to suspend domain names—causing websites to go dark—at the request of powerful corporate interests and governments”, si legge nel comunicato dell’EFF).
Dalla vicenda si traggono tre indicazioni.
Primo, l’Icann – che è un ente di natura ibrida, privato ma con rappresentanti governativi al suo interno – si comporta come un decisore pubblico, che ascolta le parti in gioco, risponde alle istanze pervenute, ascoltando la società civile, gli operatori e i soggetti interessati e adotta decisioni conseguentemente motivate.
Secondo, la permanenza del controllo statale, nonostante il carattere globale della risorsa e dell’ente (ibrida, secondo la classificazione del Global Administrative Law): l’influenza del Procuratore dello Stato della California mostra chiaramente estensione e portata del potere pubblico sull’ente. La giurisdizione nazionale ha ancora un peso evidente sulla struttura che governa le risorse mondiali dei nomi a dominio (anche dopo la Iana transition del 2016, che pure ha apportato una modifica sugli atti concessori di attribuzione delle funzioni dell’ente e sulla forma di “autogoverno”).
Terzo, emerge la centralità dei meccanismi di diritto amministrativo per assicurare l’accountability dell’ente. La partecipazione (nella forma del notice-and-comment dall’Amministrativa Procedure Act) emerge con chiarezza dal caso descritto, con l’ascolto del Board of Directors dei contributi pervenuti in vista dalla decisione (lettera EFF e del Procuratore generale Stato della California). Per completezza, comunque, vi è da aggiungere che alla partecipazione si sommano altri strumenti di controllo (previsti dallo statuto dell’ente), che vanno da una forma di review (che richiamano, principalmente, i ricorsi in opposizione) fino a meccanismi di soluzione alternativa delle controversie affidati ad arbitri terzi. Le decisioni dell’Icann, inoltre, possono anche essere contestate in ambito giurisdizionale. Se è già possibile osservare l’applicazione dell’istituto della partecipazione al caso di specie, in linea teorica si potrebbe ipotizzare anche il ricorso alle altre forme di tutela appena menzionate. Ci si trova dinanzi, in questo senso, a un sistema misto, con strumenti stabiliti sia dall’ordinamento generale che dal quello interno all’ente; un sistema altamente originale, non privo di incertezze quanto alla chiarezza e all’applicabilità dei rimedi consentiti al singolo.
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