Con la pronuncia n. 3780 del 5 giugno 2019, la Sezione Terza del Consiglio di Stato stabilisce l’applicabilità dell’accesso civico generalizzato alla materia dei contratti pubblici, componendo il contrasto creatosi in giurisprudenza.
Nel corso del primo periodo di attuazione della nuova disciplina sulla trasparenza amministrativa, infatti, si erano venuti a creare due opposti orientamenti. Secondo un primo indirizzo (T.A.R. Emilia Romagna, Parma, sez. I, n. 197/18; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, n. 630/19) i documenti relativi alle procedure di affidamento ed esecuzione di un appalto sono accessibili solo tramite l’accesso ex art. 22, ss. l. n. 241/1990 espressamente richiamato dalla disciplina di cui all’art. 53 d.lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici), restando quindi esclusi dall’accesso civico generalizzato.
In base a un diverso orientamento (T.A.R. Lombardia, sez. IV, n. 45/2019), dovrebbe riconoscersi l’applicabilità dell’accesso civico generalizzato anche alla materia degli appalti pubblici giacché il rinvio operato dal Codice dei contratti pubblici alle norme sull’accesso va inteso in prospettiva dinamica, tenendo conto della loro evoluzione storica.
Nel dibattito, da ultimo, si è inserita una terza voce (Tar Toscana, sez. III , n. 577/2019) che aveva distinto fra dati, informazioni e documenti inerenti alla fase esecutiva del rapporto, successiva all’aggiudicazione del contratto, per cui è consentito solo l’acceso ex l. n. 241/1990; e atti inerenti alla fase pubblicistica della procedura di affidamento per cui, oltre all’accesso procedimentale, è consentito anche l’accesso civico generalizzato.
A risolvere la querelle è intervenuto il Consiglio di Stato che, muovendo da una lettura coordinata e funzionale dell’art. 53 d.lgs. n. 50/2016 e dell’art. 5 bis, comma 3, d.lgs. n. 33/2013, ha affermato che l’accesso civico generalizzato è escluso fra l’altro nei casi “in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti”, non facendo la norma riferimento a “materie”. Ragionando in senso contrario si finirebbe per escludere l’intera materia dei contratti pubblici dall’accesso civico generalizzato che mira invece a garantire il rispetto del principio fondamentale di trasparenza, ricavabile direttamente dalla Costituzione. Il richiamo contenuto nel primo comma, dell’art. 53 del Codice dei contratti alla disciplina di cui agli artt. 22 e ss. della l. n. 241/90 è spiegabile alla luce del fatto che il d.lgs. n. 50/2016 è anteriore rispetto al d.lgs. n. 97/2016 che ha modificato il d.lgs. n. 33/2013, introducendo l’istituto dell’accesso civico generalizzato.
Secondo il Collegio non può quindi ipotizzarsi una interpretazione “statica” e non costituzionalmente orientata delle disposizioni vigenti in materia di accesso, altrimenti sarebbe possibile precludere l’accesso generalizzato ogniqualvolta una norma di legge, anche anteriore alla riforma, faccia rinvio agli artt. 22 e ss., l. n. 241/90. Al contrario, occorre operare una interpretazione conforme ai canoni dell’art. 97 Cost. che valorizzi l’impatto “orizzontale” dell’accesso civico, non limitabile da norme preesistenti (e non coordinate con il nuovo istituto), ma soltanto dalle prescrizioni “speciali” e interpretabili restrittivamente, che la stessa nuova normativa ha introdotto al suo interno.
Alle luce delle considerazioni svolte, il Consiglio di Stato ha accolto l’appello, ordinando all’amministrazione ostensione della documentazione di gara e della fase esecutiva dell’appalto aggiudicato.