Secondo la Corte europea dei Diritti dell’Uomo, che si è pronunciata con decisione del 13 giugno 2019 (caso Marcello Viola c. Italia, ricorso n. 77633/16), l’istituto italiano dell’ergastolo “ostativo” viola il divieto di trattamenti inumani e degradanti sancito dall’art. 3 della CEDU.
La questione originava dal ricorso di Marcello Viola, cittadino italiano condannato (nel 1999 e nel 2002) per associazione a delinquere di stampo mafioso, possesso illegale di armi, omicidio e sequestro di persona. Sottoposto al regime del 41 bis tra il 2000 e il 2006, aveva chiesto a varie riprese la concessione di permessi premio e della liberazione condizionale, entrambi rigettati in considerazione della mancata collaborazione con la giustizia, condizione ritenuta sia dal Tribunale che dalla Cassazione fondamentale per provare la cessazione del legame con l’organizzazione mafiosa di appartenenza.
La disciplina in tema di ergastolo ostativo (artt. 22 c.p. e 4 bis e 58 ter della legge sull’amministrazione penitenziaria) prevede difatti l’impossibilità di accedere alla liberazione condizionale e agli altri benefici penitenziari o misure alternative alla detenzione se il soggetto condannato non collabora con la giustizia, a meno che tale collaborazione sia “impossibile”, “inesigibile” o sia stata provata la rottura del legame con l’organizzazione criminale.
A fronte di tale quadro normativo, la Corte europea ha ritenuto che il difetto di collaborazione non possa sempre dirsi legato ad una scelta libera e volontaria, né unicamente giustificato dalla persistenza dell’adesione ai “valori criminali” e dal mantenimento dei legami con il gruppo di appartenenza. D’altro canto secondo la Corte, la collaborazione non implica per forza una dissociazione effettiva dall’ambiente criminale, potendo essere motivata dalla prospettiva di beneficiare degli istituti di reinserimento sociale previsti.
Nell’opinione dei giudici europei, dunque, la mancanza di collaborazione con le autorità giudiziarie determina nel sistema italiano una presunzione assoluta di pericolosità che ha l’effetto di privare il ricorrente di qualsiasi possibilità di accedere ai benefici: ciò si pone in contrasto con il principio di tutela della dignità umana che impedisce di privare una persona della sua libertà senza prevedere un progressivo reinserimento nella società.