La Terza sezione del Consiglio di Stato, nella pronuncia 2 novembre 2019, n. 7476, ha affermato che il termine di 18 mesi – introdotto dall’art. 6, comma 1, lett. d), legge 7 agosto 2015, n. 124 – per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio ai sensi dell’art. 21-nonies, l. n. 241/1990 – resta applicabile nella sua rigida previsione solo in relazione agli atti di autotutela che abbiano ad oggetto provvedimenti che siano, anch’essi, successivi all’entrata in vigore della nuova disposizione. Al contrario, nelle ipotesi di provvedimenti già adottati, il suddetto termine integra un parametro di riferimento per valutare la “ragionevolezza del termine” dell’intervento di riesame.
La pronuncia, dunque, ponendosi in linea con i precedenti orientamenti della giurisprudenza (fra le altre, cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 3583/2019; Id., sez. IV, n. 4374/2018; Id., sez. VI, n. 250/2017; Id., 2017, n. 3462/2017; Id., sez. III, n. 3780/2017), ha affermato che il nuovo termine non sostituisce “in toto” il “termine ragionevole” (e indeterminato) introdotto con la l. n. 15/2005, il quale continua a costituire il parametro di riferimento nei casi in cui non possa trovare applicazione, “ratione temporis“, il termine di mesi 18.
Infine, i giudici amministrativi, riprendendo l’orientamento adottato dall’Adunanza Planaria del Consiglio di Stato (n. 8 del 17 ottobre 2017), hanno ricordato che il termine “ragionevole” decorre soltanto dal momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro.