Con l’ordinanza dello scorso 18 settembre, n. 6219, il Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di giustizia dell’Unione europea una serie di questioni relative alla disciplina fiscale in materia di “affitti brevi” recata dal decreto legge 50/2017.
In particolare, i giudici di Palazzo Spada hanno sollevato le seguenti questioni:
a) se le disposizioni ed i principi del diritto euro-unitario, fra cui gli artt. 4, 5 ss. della direttiva 1535/2015/UE, l’art. 8 della direttiva 98/34/CE e l’art. 56 TFUE ostino ad una normativa nazionale che, senza previa notifica alla Commissione europea, imponga al gestore di un portale telematico di intermediazione immobiliare “regole tecniche per la prestazione di un servizio della società dell’informazione” consistenti in obblighi informativi (trasmissione all’Agenzia delle Entrate dei dati relativi ai contratti conclusi tramite il portale telematico) e fiscali (effettuazione della ritenuta sui pagamenti operati in relazione ai contratti conclusi tramite il portale telematico e successivo versamento all’Erario);
b) se le disposizioni e i principi del diritto euro-unitario, fra cui gli artt. 3, 18, 32, 44, 49, 56, 101 ss., 116, 120, 127 ss. del TFUE e le direttive 2000/31/CE e 2006/123/CE, ostino ad una normativa nazionale che: – introduce, con riferimento ai gestori di un portale telematico per la ricerca di immobili da locare, obblighi di raccolta e trasmissione di dati relativi ai contratti; – introduce, con riferimento ai medesimi gestori di portali telematici che intervengano nel pagamento del corrispettivo di contratti di locazione breve, l’obbligo di operare quale sostituto di imposta, ovvero di responsabile di imposta; – introduce, con riferimento ai gestori di portali telematici non residenti e riconosciuti privi di stabile organizzazione in Italia, l’obbligo di nominare un rappresentante fiscale; – introduce, anche con riguardo a soggetti non residenti e privi di stabile organizzazione in Italia, l’obbligo di operare quali responsabili d’imposta in relazione all’imposta di soggiorno;
c) se i principi fondamentali del diritto euro-unitario ostino, in termini generali, ad una disciplina nazionale che, di fatto, riversi su un’impresa le inefficienze dello Stato nell’accertamento e riscossione delle imposte.
La vicenda da cui scaturisce l’ordinanza deriva da un ricorso proposto da Airbnb Ireland Unlimited Company ed Airbnb Payments Uk Limited, contro l’Agenzia delle Entrate e nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Economia e delle Finanze, di Federalberghi e Codacons per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sede di Roma, Sezione II-ter, n. 2207 del 18 febbraio 2019, resa tra le parti, concernente la disciplina operativa e fiscale delle locazioni brevi concluse tramite portale telematico.
Con il provvedimento impugnato, il TAR del Lazio aveva negato che la misura fiscale introdotta dal d.l. n. 50 del 2017 ed attuata da un provvedimento dell’Agenzia delle entrate impugnato da Airbnb configurasse una “regola tecnica” od una “regola relativa ai servizi”, ai sensi e per gli effetti dell’obbligo di preventiva notifica alla Commissione europea stabilito dalla direttiva 1535/2015/UE.
Il tribunale amministrativo aveva altresì negato che gli obblighi informativi (trasmissione all’Agenzia delle Entrate dei dati relativi ai contratti conclusi tramite il portale telematico) e fiscali (effettuazione della ritenuta sui pagamenti operati in relazione ai contratti conclusi tramite il portale telematico e successivo versamento all’Erario) imposti dalla normativa nazionale violassero il principio di libera prestazione di servizi (art. 56 TFUE e direttive 2006/123/CE e 2000/31/CE) ed il principio di libera concorrenza.
Inoltre, a giudizio della corte, l’obbligo di nomina, per i soggetti esercenti un portale telematico di intermediazione immobiliare non residenti e non stabiliti in Italia, di un rappresentante fiscale non eccedeva i parametri di proporzionalità e necessità fissati dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia per ammettere una misura restrittiva di una libertà fondamentale, quale quella della libera prestazione di servizi.
La pronuncia impugnata aveva anche sostenuto che la doglianza afferente agli oneri connessi alla riscossione dell’imposta di soggiorno (prevista dall’art. 4, comma 5-ter, d.l. n. 50 del 2017) non fosse ammissibile per carenza di interesse, in quanto il profilo de quo non è oggetto del provvedimento impugnato, al contempo negando che la novella legislativa fosse in contrasto con gli articoli 3, 41 e 117 della Costituzione, ovvero con la disciplina nazionale ed euro-unitaria in punto di privacy.
Alla luce della complessità della questione sottoposta, nell’ordinanza, il Consiglio ha evidenziato l’esigenza di individuare l’esatta interpretazione da riconoscere al diritto euro-unitario, al fine di verificare la compatibilità con esso del diritto interno e, dunque, la possibilità di farne applicazione al caso di specie. Il Collegio ha osservato che l’esegesi delle disposizioni nazionali e, soprattutto, euro-unitarie propugnata dalla parte ricorrente, secondo cui vi è un insanabile contrasto delle prime con le seconde, non è invero l’unica che può trarsi dal complesso normativo rilevante ai fini di causa: la contrapposta esegesi coltivata dal T.a.r. e condivisa dalle odierne parti resistenti, invero, non presenta a sua volta chiari tratti di patente irragionevolezza.
Il Consiglio di Stato ha quindi ritenuto sufficiente tale considerazione a rendere necessario il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267 TFUE, in considerazione del monopolio interpretativo del diritto euro-unitario che i Trattati assegnano alla Corte di Giustizia, della natura di Giudice di ultima istanza rivestita dal Consiglio di Stato e della specifica richiesta in tal senso svolta, sia pure in subordine, da parte ricorrente.