Nel pomeriggio del 5 settembre 1946 Piero Calamandrei, uno dei più prestigiosi giuristi italiani, chiese la parola nella sottocommissione seconda del Comitato dei 75 incaricato di redigere il testo della Costituzione italiana. Esordì con una frase che non poteva non colpire l’uditorio: “Ritiene – dice il verbale – di essere il solo che abbia qualche simpatia, nonostante la discussione, per la repubblica presidenziale”. “Crede – aggiunse con una punta di mal celata amarezza – che il risultato di questa discussione sia piuttosto scoraggiante, tanto per i fautori della repubblica presidenziale, in quanto ve n’è uno solo, che è lui, quanto per i fautori della repubblica parlamentare, che sono tutti gli altri, perché tutti, a quanto sembra, sono d’accordo nel ritenere che le costituzioni non servono a cambiare la situazione sociale quale è in realtà”.
Il suo discorso successivo, uno dei più alti – come riconobbero gli stessi avversari – che si fossero tenuti nell’aula dei costituenti, non ebbe successo. A fine seduta, dopo numerosi interventi contrari di tutti i partiti, fu approvata la nota formula dell’ordine del giorno di un altro giurista, Tommaso Perassi:
“La Seconda sottocommissione – vi si leggeva –, udite le relazioni degli onorevoli Mortati e Conti, ritenuto che né il tipo di governo presidenziale né quello del governo direttoriale risponderebbero alle condizioni della società italiana, si pronuncia per l’adozione del sistema parlamentare da disciplinarsi, tuttavia, con dispositivi costituzionali idonei a tutelare le esigenze di stabilità dell’azione di Governo e ad evitare le degenerazioni del parlamentarismo”.
Di seguito uno dei passaggi chiave del discorso di Calamandrei.
A chi dice che la repubblica presidenziale presenta il pericolo delle dittature, ricordo che in Italia si è veduta sorgere una dittatura non da un regime a tipo presidenziale, ma da un regime a tipo parlamentare, anzi parlamentaristico, in cui si era verificato proprio il fenomeno della pluralità dei partiti e della impossibilità di avere un governo appoggiato ad una maggioranza solida, che gli permettesse di governare. Quindi il problema è questo: come si fa a far funzionare una democrazia che non possa contare sul sistema dei due partiti, che in Italia, in questo momento non esiste e che ancora per qualche tempo non esisterà ma che deve invece funzionare sfruttando e attenuando gli inconvenienti di quella pluralità dei partiti la quale non può governare altro che attraverso un governo di coalizione? Cioè qual è la forma dello Stato che meglio serve a far funzionare un governo di coalizione, impedendo quelle crisi a ripetizione che sono la rovina della democrazia (…). Le dittature sorgono non dai governi che durano, ma dalla impossibilità di governare dei governi democratici.
Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione, Seconda sottocommissione, Seduta di giovedì 5 settembre 1946, p. 119.