Paolo Baffi e lo spumante di Rovelli

Paolo Baffi (Broni, 1911-Roma, 1989), fu eminente economista e uomo di banca, prima direttore generale e poi governatore della Banca d’Italia (dal 1975 al  1979). Nell’istituto di via Nazionale era entrato nel 1936, dopo aver conseguito la laurea alla Bocconi nel 1932 e aver trascorso un periodo di intenso e fruttuoso  apprendistato come allievo di Giorgio Mortara nonché un periodo all’estero, presso la London School of Economics and Political Science, dove visse il clima intellettuale dell’epoca (assistette da vicino alla elaborazione della dottrina Beveridge sullo Stato sociale ma anche alle  controversie teoriche insorte fra John Maynard Keynes e Friedrich August Hayek sul rapporto fra risparmi e investimenti).  A Londra, non appena assunto in banca, fu inviato dall’allora governatore dell’Istituto di Palazzo Koch Azzolini, per studiarvi, presso la Bank of England, l’organizzazione di quell’ufficio studi, onde poi farne il modello dell’omologo italiano. Cruciale fu anche l’esperienza compiuta dopo la caduta del fascismo, quando (nel 1945), per decisione di Einaudi che ne aveva grande stima, fu posto a capo dell’Ufficio studi e in quella veste tra l’altro collaborò con l’Assemblea costituente. Nominato dal 1960 al 1975 direttore generale dell’istituto di emissione, ne fu poi il governatore, succedendo a Guido Carli. Quell’esperienza di vertice sarebbe stata segnata da indubbi successi, che avrebbero posto in evidenza le qualità e competenze del banchiere ma anche la sensibilità culturale dell’economista rispetto ai problemi della nuova fase storica, quando, esauritasi la spinta del miracolo economico, si dovettero affrontare le complesse vicende della crisi petrolifera e delle sue conseguenze. Nel  1979 Baffi, il cui rigore mal si conciliava con la decadenza dell’etica pubblica nelle istituzioni (erano gli anni di Sindona), fu inopinatamente incriminato con l’accusa di favoreggiamento e interesse privato in atti d’ufficio dal giudice istruttore Alibrandi e dal sostituto procuratore di Roma Infelisi, per non aver trasmesso alla magistratura (tale l’accusa) un rapporto frutto di un’ispezione al Credito industriale sardo (istituto coinvolto nella crisi della Sir di Nino Rovelli). Insieme a Baffi fu accusato, e addirittura tratto in arresto con tanto di telecamere e di manette ai polsi, il vicedirettore della Banca d’Italia, Mario Sorcinelli. Confortato dalla stima subito manifestatagli da molti dei più eminenti economisti italiani, ma amareggiato profondamente dalle accuse e dal silenzio del presidente del Consiglio Andreotti, Baffi fu poi (come Sarcinelli) nel 1981 prosciolto in istruttoria. La lettera a Nino Rovelli qui riportata è datata un anno prima dei fatti, ma dice (per quel che può fare una laconica comunicazione) quale fosse lo stile e quale il senso della moralità di Paolo Baffi.

Paolo Baffi a Nino Rovelli, Roma, 16 gennaio 1978

Mi è stata recapitata oggi una cassetta di bottiglie spumante che Ella ha voluto inviarmi quale omaggio natalizio.

Considerata la crisi del Suo gruppo, e la mia partecipazione nelle decisioni che lo concernono, ritengo di doverla restituire. La prego di comprendere e scusare questo atto di discrezione, e di credermi con i migliori saluti e auguri, Paolo Baffi.

 

Paolo Baffi servitore dell’interesse pubblico. Lettere 1937-1989, a cura di Beniamino Andrea Piccone, Torino, Nino Aragno Editore, 2016, p. 196.