Il 12 settembre 2018 il film “Sulla mia pelle” di Alessio Cremonini, finanziato dal Mibac con circa 600.000 euro e presentato a Venezia, esce contemporaneamente nelle sale cinematografiche e sulla piattaforma Netflix. Ciò in violazione della prassi di mercato, fino a poco tempo fa fortemente rispettata, secondo cui le opere cinematografiche devono essere distribuite innanzitutto in sala e non possono comparire in contemporanea, né in tempi ravvicinati, su altri canali. L’episodio suscita polemiche da parte degli esercenti, preoccupati che le nuove strategie distributive possano svilire il ruolo sociale delle sale ed erodere ulteriormente gli introiti di un mercato già in crisi.
In risposta a queste proteste, il 29 novembre 2018 un decreto del Ministro per i beni e le attività culturali[i] interviene a modificare i parametri secondo cui un’opera può qualificarsi come cinematografica e accedere quindi ai contributi pubblici al cinema: tra gli altri requisiti, se ne richiede la distribuzione in primo luogo in sala e se ne vieta la circolazione su altri canali nei 105 giorni successivi alla prima proiezione. Al termine di 105 giorni sono però previste due eccezioni: per le opere programmate per non più di tre giorni lavorativi e non coincidenti con il fine settimana, la finestra cinematografica esclusiva è ridotta a 10 giorni; per quelle programmate in meno di 80 sale e che dopo i primi 21 giorni abbiano ottenuto un numero di spettatori inferiore a 50.000, è ridotta a 60 giorni.
Per i film che rientrano nella regola generale, il decreto fissa quindi in via normativa la precedente prassi del settore. Per quelli che rientrano nelle eccezioni, consente invece il superamento dell’obbligo dei 105 giorni. La ratio dell’intervento è duplice. Da un lato, consente di “bloccare” in sala i titoli forti del cinema italiano, per evitare che si riducano i ricavi di un mercato già in crisi: i film che dovrebbero rientrare nella regola generale, pur essendo solo un quarto di quelli italiani, rappresentano infatti circa il 90% degli incassi dei titoli nazionali[ii]. Dall’altro lato, consente tramite le eccezioni una più rapida “liberazione” di tutti gli altri film – cioè quelli meno forti – garantendo loro una seconda vita.
Dato l’elevato numero di film italiani prodotti (210 nel 2018[iii], in media più di 4 uscite a settimana) e il numero limitato di sale, molti titoli resistono in programmazione solo poche settimane. Obbligarli ad attendere 105 giorni prima di poter essere distribuiti su altri canali ne riduceva la reddittività potenziale, visto che poteva perdersi l’effetto promozionale di un’uscita al cinema. Nell’abbreviare il tempo che deve trascorrere tra l’uscita al cinema e l’accesso a nuovi canali, si cerca comunque di non penalizzare gli ingressi in sala: in entrambi i casi è previsto che durante il periodo in cui l’opera è al cinema non se ne possa promuovere la successiva disponibilità su altre piattaforme.
In questo senso, il decreto – che era stato semplicisticamente salutato dalla stampa come “anti-Netflix” – mostra una complessità più profonda. Da un lato, garantisce agli esercenti la protezione che richiedono; dall’altro, tramite le eccezioni, permette una più rapida circolazione su altre piattaforme dei titoli meno redditivi.
Il decreto, pur accogliendo prontamente le domande del settore, suscita perplessità nei suoi presupposti. Con il divieto di distribuzione contemporanea in sala e su altri canali, e l’obbligo di rispettare dei tempi tra le uscite, sembra assumere che sala e piattaforme online siano canali “perfetti sostituti”. Per quanto intuitiva, questa idea non trova riscontro empirico. Non circolano analisi che mostrino come chi frequenta le sale non lo farebbe se i film fossero contestualmente disponibili online; né che chi non le frequenta ne usufruirebbe di più in assenza di Netflix. Anzi: uno studio sul mercato americano diffuso nel dicembre 2018 testimonia che l’incremento dell’uso di Netflix non è associato ad una riduzione del pubblico in sala, e che i maggiori frequentatori delle sale sono anche i maggiori utilizzatori di Netflix (Fig. 1).
Non abbiamo dati ufficiali sugli incassi totali realizzati al box office da “Sulla mia pelle”, definiti però “sorprendenti” dai giornali nonostante il rifiuto di molti esercenti di proiettarlo abbia limitato il numero di sale in cui era disponibile. L’unico dato ufficiale diffuso è che il film, durante il primo weekend al cinema, ha incassato in media 2.381€ a copia[iv]. Elaborando i dati messi a disposizione da Anica su CineNotes, si nota come – nonostante il doppio canale distributivo – il risultato del film di Cremonini sia in linea con la media dei risultati dei primi 50 film italiani del 2018 per incasso (Fig. 2[v]). Anche ammettendo che la polemica sulla distribuzione di questo film abbia contribuito a promuoverne la visione al cinema, resta la possibilità che la sala costituisca un’esperienza così diversa per certi consumatori da non essere sostituibile con altre modalità di fruizione.
Coerentemente, hanno avuto successo in sala opere che il pubblico sapeva sarebbero state a breve disponibili su altri canali. È stato il caso dell’anteprima delle due prime puntate della terza stagione della serie “Gomorra” e della serie “De Andrè principe libero”, proiettati al cinema per promuoverne la successiva distribuzione rispettivamente su Sky e in Rai. Sarebbe stato forse opportuno per il settore assumersi il rischio di eseguire un numero sufficiente di “esperimenti” per verificare se tra le due forme di fruizione – quella in sala e in quella online – sussista effettivamente un rapporto di cannibalizzazione, o se si possano costruire sinergie benefiche per entrambe.
Resta comunque il dubbio che la tutela e la valorizzazione di un settore in crisi da anni non si possa ancorare a una difesa dei paradigmi tradizionali tramite una limitazione della pressione concorrenziale. Anche ammettendo che la visione in sala e online siano sostituibili, anziché limitare la disponibilità dell’una, sarebbe forse più auspicabile capire come far riaffezionare i consumatori all’altra, interpretandone più coerentemente la domanda piuttosto che cercare di modificarla e orientarla. Oltretutto, come rilevato dall’AGCM, “l’introduzione, per via normativa, di un limite alla libertà degli operatori OTT di gestire la distribuzione dei propri contenuti potrebbe rappresentare un disincentivo all’investimento nella produzione nazionale”[vi]. Se fosse questo il caso, a rimetterci potrebbe essere anche la diffusione del cinema italiano: Netflix, in virtù di una distribuzione capillare e un catalogo in costante espansione, offre ai produttori nazionali una preziosa apertura al mercato mondiale. Non va poi sottovalutato un rischio legato agli incentivi: potrebbe essere il caso che la previsione per via normativa di finestre cinematografiche esclusive induca chi non ha vicina disponibilità di sale cinematografiche a piratare film per cui non è disposto ad attendere l’uscita su altri canali.
Al netto di questi rilievi, va evidenziato che le regole dettate dal decreto Mibac non sono obbligatorie: i produttori che vogliano distribuire contestualmente le proprie opere in sala e su altri canali, o non attendere i tempi indicati, possono farlo rinunciando ai contributi pubblici al cinema – ferma restando la possibilità di accedere a quelli previsti per gli altri audiovisivi.
Inoltre, dato che i finanziamenti non sono previsti per le opere straniere (ad eccezione del c.d. tax credit europeo), le regole di cui al decreto Mibac riguardano esclusivamente quelle italiane – che nel corso del 2018 hanno generato solo il 23,02% del box office[vii]. Oltre a “Sulla mia pelle”, anche “Roma” di Alfonso Cuarón – sempre prodotto da Netflix e vincitore del Leone d’oro a Venezia – è stato oggetto di polemiche legate alla sua distribuzione fuori dalla prassi di mercato. Non costituendo un’opera italiana, non aveva però ottenuto finanziamenti da parte dello Stato: in quel caso, il decreto non sarebbe comunque potuto intervenire a sedare le polemiche.
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[i] Si tratta del decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali di modifica del decreto del 14 luglio 2017, recante “Individuazione dei casi di esclusione delle opere audiovisive dai benefici previsti dalla legge 14 novembre 2016, n. 220, nonché dei parametri e requisiti per definire la destinazione cinematografica delle opere audiovisive”, disponibile qui: https://www.beniculturali.it/mibac/multimedia/MiBAC/documents/1544799193923_registrato_d.m._29_novembre_2018_rep._531.pdf
[ii] Cfr. AGCM, Relazione annuale sullo stato della concorrenza nel settore della distribuzione cinematografica, 2019, disponibile qui: https://www.agcm.it/dotcmsdoc/relazioni-annuali-cinema/rel_distr_cinematografica_2019.pdf.
[iii] Cfr. Cinetel, Il cinema in sala nel 2018: i dati del box office, disponibile qui: http://www.anica.it/allegati/DATI/Box%20Office%202018%20Italia_relazione.pdf.
[iv] Cfr. Anica, CineNotes del 17 settembre 2018, disponibile qui: http://www.anecweb.it/file/31513-cinenotes.pdf
[v] Ai fini di questa stima non sono stati compresi, perché non disponibili, i risultati di cinque titoli che pure rientrano tra i primi 50 del 2018 (“Tonno spiaggiato”, “Capri-revolution”, “Amici come prima”, “Arrivano i prof.” e “Loro 2”).
[vi] Cfr. AGCM, Relazione annuale. OTT, acronimo di Over-the-top, è il termine per definire la distribuzione di contenuti tramite connessione a banda larga su reti aperte, accessibili attraverso una molteplicità̀ di devices.
[vii] Cfr. Cinetel, Il cinema in sala nel 2018.