Le direttive di Moro ai ministri (è il terzo dei suoi governi, inauguratosi il 23 febbraio 1966): sono raccomandazioni non nuove nella storia del governo italiano (se ne trovano di simili sin dai tempi di De Gasperi, e Moro stesso richiama quelle da lui impartite nel 1964) e concernono il corretto esercizio della funzione.
Da sottolineare il passaggio sul limite alla crescita degli addetti ai gabinetti e quello sul rispetto della “chiara e leale disciplina”.
Roma, 2 marzo.
Moro richiama tutti i ministri a una chiara e leale disciplina. Ha inviato a ciascuno una lettera raccomandata a mano (una copia per conoscenza al vice presidente Nenni). In essa ricorda ai ministri: non sono leciti atteggiamenti difformi dalla linea politica decisa collegialmente dal governo, ognuno deve informare la Presidenza del Consiglio prima di prendere iniziative. Esorta a troncare l’abuso di assumere troppi segretari o personale privato, a rispettare le osservazioni della Corte dei Conti e ad applicare rapidamente le sentenze della Magistratura. In una lettera raccomandata a mano, consegnata stamane a ciascuno dei 26 ministri, il presidente del Consiglio on. Moro invita i membri del governo ad adoperarsi perché, nello scrupoloso rispetto delle norme giuridiche, amministrative e di costume, il nuovo ministero persegua la moralizzazione pubblica e osservi «piena legalità». Il richiamo concerne aspetti che, anche di recente, hanno largamente interessato la opinione pubblica, e ai quali, in forma generica, accenna l’on. Moro. Qualche esempio: la presidenza del Consiglio ha il diritto di essere informata preventivamente di tutte le iniziative che i ministri hanno in animo di adottare; non sono leciti gli atteggiamenti difformi dalla linea governativa assunti, in passato, da alcuni ministri; l’espansione, talora pletorica, del personale non statale chiamato nei gabinetti personali deve cessare; occorre osservare, con il massimo rigore, i controlli previsti dalia legge sull’opera dei ministri, dei ministeri, del governo nel suo insieme. Sono tutte cose che l’on. Moro aveva detto in precedenti direttive (quelle del 26 maggio e del 7 agosto 1964) e che oggi ricorda. L’invito ad informare la presidenza del Consiglio sulle iniziative ministeriali è commesso alla responsabilità prioritaria che essa ha « nell’armonico e coordinato sviluppo dell’azione di governo ». Questo « comune e solidale impegno » sarà favorito dalla « necessaria riservatezza sui punti di vista che dovranno confluire nella collegialità delle deliberazioni assunte, unitariamente, dal Consiglio dei ministri ». Perciò il ministro è tenuto al riserbo in questa materia ed altrettanta « discrezione e aderenza agli indirizzi: generali della politica governativa» è raccomandata da Moro «nei discorsi politici dei membri del governo»: questo invito, in termini generali, riflette episodi reali dei mesi scorsi. Il cumulo degli incarichi non è permesso e, di conseguenza, a questa norma devono attenersi i ministri. «Richiamo anche l’esigenza — scrive il presidente del Consiglio — di rimuovere ogni situazione che possa comunque apparire non rispondente a piena legalità». A tal proposito, «segnala» che esistono disposizioni per «il numero e le funzioni dei componenti i gabinetti e le segreterie particolari». L’on. Moro riconosce che, essendo i ministeri inadeguati alle necessità, si sono costituiti fuori delle direzioni generali, vari uffici per gli affari legislativi, per le interrogazioni e i rapporti con il Parlamento, per le pubbliche relazioni, per la stampa e l’informazione, per l’organizzazione e metodo, per gli studi e la programmazione, per gli affari regionali e così via». In attesa del riordinamento dei ministeri, previsto da una legge delega dinanzi al Parlamento, questi ultimi dovranno far parte della direzione affari generali dei ministeri. L’on. Moro esclude in modo assoluto «la dilatazione e lo sconfinamento» degli uffici speciali nelle competenze delle direzioni generali per evitare «interferenze e duplicazioni» inammissibili e dannose. Dopo aver chiesto ai ministri che, tranne casi eccezionali, impieghino nei loro gabinetti personale statale, evitando di eccedere nella scelta di magistrati o avvocati dello Stato, la lettera sottolinea l’urgenza di utilizzare gli esperti giuridici dello Stato negli uffici studi e legislativi, ma senza « turbare il regolare funzionamento » degli organismi da cui provengono. Ad evitare il ripetersi di casi verificatisi, l’on. Moro ricorda che il parere collegiale del Consiglio di Stato non potrà essere sostituito dalla consulenza individuale dei magistrati amministrativi scelti dai ministri come consiglieri. Elencate le circostanze in cui il parere del Consiglio di Stato è indispensabile, il documento prescrive che ogni sei mesi i dicasteri segnalino alla presidenza del Consiglio lo stato delle controversie, le decisioni adottate dalle magistrature ordinaria o amministrativa, l’applicazione tempestiva delle sentenze, non potendosi «ammettere che l’errore dell’amministrazione possa durare oltre il tempo strettamente necessario per la riparazione dovuta in osservanza della decisione del magistrato». I ministri dovranno segnalare ogni mese a Palazzo Chigi le osservazioni formulate dalla Corte dei Conti perché ad esse ciascun ministero possa adeguarsi. Infine, punto dolente, i rapporti e i controlli del governo sugli enti statali. I rilievi della Corte dei Conti in materia devono essere «attentamente considerati»; i ministri sono tenuti a «rimuovere eventuali situazioni non regolari» e a favorire «la razionalizzazione, l’efficienza, l’economicità di gestione degli enti». Qualora le irregolarità siano particolarmente gravi e comportino «responsabilità penali», i ministri dovranno immediatamente informare la presidenza del Consiglio. Questo è il programma di moralizzazione proposto dall’on. Moro ai 26 ministri e, congiuntamente, ai 46 sottosegretari.
La Stampa – Giovedì 3 Marzo 1966