Eugenio Montale nel 1954 aveva 58 anni ed era già annoverato tra i massimi poeti del ‘900 (ventun anni dopo, nel 1975, sarebbe stato insignito del Nobel per la letteratura). Lavorava all’epoca al “Corriere della Sera”, al quale collaborò dal 1946 al 1979 in varie posizioni ma per la maggior parte del tempo come redattore effettivo, con tanto di scrivania in una storica stanza di via Solferino. In questo pezzo, inviato dal giornale sul posto, racconta le prime uscite pubbliche del gruppo di giovani che proprio in quell’anno avevano costituito a Bologna la casa editrice il Mulino pubblicando l’omonima rivista e che avevano promosso il loro primo convegno. Come Montale intuisce nel suo articolo, pure scritto in tono apparentemente scanzonato, quei “ragazzi” avrebbero poi rappresentato una delle voci indipendenti più stimolanti e influenti nella cultura politica italiana del dopoguerra ed oltre.
Ed ora al Mulino! È il fatto nuovo di Bologna, che non contava più una rivista notevole, dal tempo dell’ “Italiano” che Longanesi vi pubblicò dal ‘27 al ‘29. La scrivono studenti universitari o giovani laureati di fresco, non solo bolognesi; ha due anni di vita e una notevole diffusione. Se scorrete i nomi dei suoi redattori (Contessi, Cavazza, Degli Esposti, Giordano, Giugni, Mancini, Matteucci, Pedrazzi, Ezio Raimondi, Saccenti) non vi troverete nomi noti, escluso quello di Ezio Raimondi che ha già i galloni del «professore». Non sono letterati puri, non vogliono neppur esserlo. Scrivono di politica, di filosofia, di storia e di scienza. Si proclamano neo-illuministi e antiumanistici. Hanno ramificazioni, chiedono di fondare gruppi in ogni parte d’Italia; e dopo aver pubblicato una ventina di numeri della loro rivista si son concessi il lusso di un congresso o congressino dei loro amici, che si è svolto il 9 e il 10 di questo mese in una gelida sala degli Stabilimenti Poligrafici di qui. Ma anche chi non ha messo piede in quella sala, per due giorni ha incontrato al caffè o al ristorante strani giovani occhialuti che tenevano insoliti discorsi. Sfiorando uno di quei gruppi colsi a volo: «Locke, Plotino… la statistica dei casi limite non è stata ancora tentata… io sono uno dei due o tre che potrebbero farla…».
Chi sono questi mugnai? La loro insofferenza non vuol confondersi con l’«angoscia» esistenziale. Diversi di idee e di provenienza (ve ne sono di cattolici e di laici) essi non si riconoscono nelle attuali strutture: in quella dei partiti, per esempio; non comunisti, respingono l’anticomunismo a buon mercato dei conservatori; rifiutano l’antitesi fra clericalismo e anticlericalismo; chiedono agli storici di non dimenticare l’apporto della sociologia, ai filosofi di non trascurare la tecnica e la scienza, ai cittadini di pensare con la loro testa e non con quella del capo-gruppo o del capo-cellula. Colpisce il loro lavorare per équipe, la moderazione del loro individualismo.
Non hanno un capo, non si vede tra loro un possibile Gobetti. Formano un gruppo, e questo è il loro aspetto più interessante. Sono veramente giovani o celano qualche ruga? Espresse questo dubbio uno dei presenti meno giovani: il prof. Fiorenzo Forti; ma ad esso rispose un altro anziano ed anche uno dei giovani dicendo in sostanza: «Dopo tutto quello che è costato all’ Italia il mito della forza e della gioventù state certi che giovani come li intendete voi non diventeremo mai…». E chi poteva dargli torto?
Eugenio Montale, Strani giovani occhialuti fanno andare un “mulino” a Bologna, in “Corriere della Sera”, 13 gennaio 1954.