Era il mattino presto del 19 luglio 1966 quando ad Agrigento la terra cominciò a tremare. Il terremoto distrusse interi quartieri della città, franati rovinosamente per essere stati abusivamente edificati in zone proibite ad alto rischio di crollo. Furono danni rilevantissimi: oltre mille famiglie senza casa, 5 mila persone sfollate, centinaia i feriti. E un patrimonio culturale di inestimabile valore, la Valle dei templi testimonianza unica della civiltà greca, praticamente distrutto.
Ministro dei Lavori pubblici era il socialista Giacomo Mancini: la sua requisitoria in Parlamento contro la classe dirigente locale che per anni aveva tollerato e anzi finanziato l’abuso fu memorabile. Fu nominata subito una Commissione d’inchiesta, presieduta dal direttore generale all’urbanistica Michele Martuscelli.
Di Martuscelli, come di tanti eccellenti funzionari pubblici, si è perduta la memoria.
Nato a Muro Lucano (Potenza) nel 1918 (sarebbe morto nel 2003) era direttore generale dell’urbanistica sin dalla costituzione di quell’ufficio nel 1965 e lo sarebbe rimasto sino al 1983. Aveva preso parte attiva alla preparazione della legge 167/1962 e poi sarebbe stato uno degli autori del Piano per l’edilizia del 1978, ma anche della legge speciale per Venezia del 1971, del Piano regolatore di Napoli del 1972; e avrebbe partecipato alla Commissione De Marchi per la difesa del suolo. La Commissione per la frana di Agrigento fu da lui diretta in modo efficacissimo, senza mai derogare da una condotta integerrima.
Nominato nel luglio, il 6 ottobre 1966 presentò una corposa relazione nella quale erano inesorabilmente documentate e denunziate tutte le responsabilità, anche quelle del passato. Firmarono con lui quel vero e proprio atto d’accusa contro un’intera classe dirigente locale e contro chi l’aveva protetta a Roma alcune personalità di rilievo della cultura urbanistica e dell’amministrazione: Amindore Ambrosetti, Giovanni Astengo, Nicola Di Paola, Giuseppe Guarino, Bruno Molajoli, Angelo Russo, Cesare Valle. Livio Zanetti, un ottimo giornalista dell’ “Espresso” dedicò in quei giorni a Martuscelli una significativa intervista, dalla quale sono tratti i passi che seguono.
Prima facevo la routine, poi qui ai Lavori Pubblici c’è stata una specie di rivoluzione, e come succede nelle rivoluzioni alcuni di noi sono stati strappati alla routine e mandati un prima linea, nei settori cruciali del fronte.
È capitato a me.
Ad Agrigento, nei primi giorni, quando chiamavo gli impiegati del comune per chiedere notizia di questo o quel documenti, dovevo sempre spiegare che ero io il presidente della commissione d’inchiesta. Allora si ricordavano. Erano gentili, zelanti, io chiedevo e loro portavano. No, non facevano il catenaccio, tranne un paio di volte. E intanto continuavo a domandarsi come avrebbero potuto degli uomini così miti rendersi responsabili di certe cose. Il fatto è che loro non si consideravano responsabili; non avevano l’aria di discolparsi, come se tutto quel che è accaduto ad Agrigento per colpa loro fosse una cosa perfettamente naturale.
Una volta, ricordo, interrogai un funzionario comunale, un geometra di nome C., sui cui conto ho poi appresi che a mattina lavorava in comune, alla sezione urbanistica, e il pomeriggio per una ditta costruttrice: “È vero che lei è anche un impiegato della ditta Vajana?”. E lui allargò le braccia, come uno a cui si domandi se è vero che quando si alza dal letto fa colazione: “Beh, certo. Al pomeriggio non ho niente da fare, loro insistono, e poi bisogna integrare lo stipendio. Lo facciamo quasi tutti”. Va bene per i funzionari. Ma i consiglieri comunali, i politici? Anche per loro era una cosa naturale? “Ho paura di sì”. (…)
I poteri locali in materia di urbanistica servono solo se la struttura sociale, cioè i gruppi organizzati e l’opinione pubblica del luogo, è interessata ad ottenere un’organizzazione efficiente della città. Producono i peggiori risultati quando la società dà stimoli negativi.
Ora, è fuori di dubbio che, nel tentativo di impedire in fenomeno come quello di Agrigento, sia il Comune che la Regione hanno fatto fallimento.
Resta da domandarsi: il mal governo è frutto della malvagità dei singoli amministratori, o è uno strumento necessario nella lotta per il potere in Sicilia? La m ritiene che la seconda di queste ipotesi sia la più probabile. (…) Oggi succede questa cosa inconcepibile, che a chi costruisce contro la legge viene anche assegnato un premio. Per eliminare un’assurdità del genere non dovrebbero essere necessari lunghi dibattiti parlamentari.
Livio Zanetti, Parla l’accusatore, in «L’Espresso», 22 ottobre 1966.