L’US Congress Report: enforcement e conclusioni

Le conclusioni del Rapporto dell’US Congress analizzano il tema dell’attuazione normativa. Elemento considerato essenziale, nella consapevolezza che non è sufficiente l’adozione delle norme, perché occorre un’attuazione più decisa da parte delle amministrazioni. Con un ruolo di supervisione dell’Organo di rappresentanza, ossia del potere legislativo. L’enforcement viene diviso in due categorie: agency enforcement e private enforcement, rafforzando una tradizione già esistente al fine di meglio intervenire su un fenomeno di fronte a cui una risposta generale è ormai ineludibile. Con questo terzo post si chiude l’analisi del Rapporto, in attesa che le raccomandazioni vengano adottate o che, comunque, si individui la direzione da seguire per affrontare il ruolo dominante dei giganti del digitale.

 

 

 

Del Rapporto del Congresso degli Stati Uniti (House Committee on the Judiciary – Subcommitee on Antitrust, Commercial and Administrative Law) ci siamo occupati in due precedenti post dell’Osservatorio (qui e qui). In questa sede tratteremo la terza area delle raccomandazioni del Committee, per poi offrire alcune brevissime considerazioni.

 

Il tema, di immediato interesse per il diritto amministrativo, è quello dell’enforcement. È la parte più difficile, perché lì si testa l’effettività delle misure proposte. Il Rapporto ricorda, innanzitutto, il necessario ruolo del potere legislativo, che deve garantire la necessaria supervisione sull’effettiva applicazione della normativa antitrust. Un’ottica essenziale, se non si vuole commettere l’errore di pensare che l’adozione di nuove norme sia la panacea dei mali: è l’attuazione il momento decisivo. E così, tra le altre decisioni, viene richiamata l’istituzione della Federal Trade Commission (1914), che doveva servire come risposta alla “Supreme Courts narrow construction of the Sherman Act in 1911” e per limitare “the discretion of the courts”.

Il Congresso, per il Comitato, deve tornare a svolgere un forte ruolo, promuovendo un’attuazione efficace della normativa, anche nei termini di riforma proposti (si v. ancora i nostri due precedenti post, prima richiamati).

 

L’area di indagine del Report viene divisa, quindi, in due parti: agencies enforcement e private enforcement. Sotto il primo profilo, il Subcommittee ha rilevato che “antitrust agencies consistently failed to block monopolists from establishing or maintaining their dominance through anticompetitive conduct or acquisitions”. Si parla, in merito, di un fallimento istituzionale, dovuto a una lettura restrittiva dei poteri da parte delle agenzie e a una “advanced narrow readings of the law” (p. 401).

Viene criticata la “riluttanza” della Federal Trade Commission (FTC) nell’usare (si noti) “the expansive set of tools with which Congress provided it”; in questo modo, la FTC ha omesso di “fulfill its broad legislative mandate”. La FTC, per il Subcommitteehas neglected to play this role” (in cento anni ha introdotto solo una regola per definire l’“unfair method of competition”; nel 2015, ha introdotto una rosa di “Enforcement Principles” che però hanno portato a poche azioni concrete – una sola rilevante, secondo il Report). Inoltre, non ha dato attuazione ad alcune normative settoriali, come la legge Robinson-Patman (diretta a evitare che i chain retailers esercitino una pressione economica eccessiva da fornitori indipendenti). Viene criticato, in merito, anche il Department of Justice (DOJ), il quale inoltre “has not filed a significant monopolization case in two decades”, mentre si è concentrato su casi minori, di scarsa importanza in un’ottica generale (p. 403-404).

In sintesi, un excursus impietoso, che indaga le origini della mancata attività in situazioni obiettivamente nuove come quelle che concernono le Big Tech (p. 405).

 

Quali i rimedi? L’auspicio è quindi quello di una interpretazione ampia degli strumenti legislativi messi a disposizione. Un concetto che richiama il “mandato legislativo”, che la letteratura europea e nazionale conosce in ordine ai poteri e alle funzioni delle autorità amministrative indipendenti.

All’approccio poco “espansivo” delle agencies il Report intende rimediare ripristinando un ruolo molto più attivo della FTC; la commissione dovrebbe tornare a svolgere in modo più ampio la propria funzione di “administrative tribunal”. Il Congresso, per il Subcommittee, ha infatti attribuito alla Commissione poteri che consentono di superare i limiti delle normative di settore (“Notably, Congress established the provision prohibiting unfair methods of competitionto reach beyond the other antitrust statutes, to fill in the gaps in the other antitrust laws, to round them out and make their coverage complete”). La definizione, affidata alla FTC, di cosa sia una “unfair method of competition,” indica chiaramente come sia la Commissione a doversi spingere “un po’ più in là” per andare a correggere situazioni non originariamente previste.

Ma occorre dotare la FTC anche di una dotazione finanziaria maggiore (“agencies have also been hamstrung by inadequate budgets”). Necessaria, poi, una rivisitazione delle sanzioni e dei rimedi risarcitori, la possibilità di raccogliere regolarmente informazioni sulle concentrazioni (rafforzando quanto già garantito dalla normativa: Section 6 dell’FTC Act), l’assicurazione di trasparenza e accountability, il compimento di indagini retrospettive sulle operazioni di mercato compiute negli ultimi tre decenni, l’eliminazione di conflitti (soprattutto negativi, ossia “scarichi”) di competenza tra le agencies.

 

 

Quanto al private enforcement il Report ne sottolinea il ruolo fondamentale nel sistema antitrust. Introdotto dallo Sherman Act e dal Clayton Act, il private enforcement ha una duplice ratio: da un lato, costituire uno strumento in mano ai privati per ricorrere direttamente contro condotte anticoncorrenziali; dall’altro, riflettere il timore del legislatore che i public enforcers possano incorrere nel rischio di cattura da parte dei “very monopolist that they were supposed to investigate”.

 

Il Subcommittee osserva, tuttavia, che negli ultimi decenni le corti hanno reso piuttosto difficile il ricorso agli strumenti di private enforcement (“courts have erected significant obstacles for private antitrust plaintiffs”). A tale ostacolo se ne aggiunte uno ulteriore e di non poco conto: le forced arbitration clauses, vale a dire le clausole inserite unilateralmente dalle società nei contratti (sia con i consumatori che con i sellers) che prevedono il deferimento (forzato) di qualsiasi controversia futura a un arbitro. In tal modo, le imprese si sottraggono al sistema giudiziario, che invece offre una maggiore protezione legale.

Nel Report si evidenzia, ad esempio, che nonostante Amazon abbia più di due milioni di sellers negli USA, tra il 2014 e il 2019 solo 163 di questi hanno fatto ricorso all’arbitrato. Questo dato, ad avviso della Sottocommissione, sembra confermare gli studi che dimostrano come le forced arbitration clauses non garantiscano un “meaningful forum for resolving disputes”.

 

Anche per le problematiche relative al private enforcement il Report suggerisce alcuni rimedi. Oltre all’eliminazione delle forced arbitration clauses, si ritiene necessario intervenire su alcuni precedenti giurisprudenziali, primo fra tutti quello relativo alla nozione di “antitrust injury”. In particolare, il concetto di danno in materia è stato elaborato in Brunswick Corp. V. Pueblo Bowl-O-Mat, Inc. (US Supreme Court -1977), in cui si è affermato che “For plaintiffs in an antitrust action to recover treble damages (…), they must prove more than that they suffered injury which was causally linked to an illegal presence in the market; they must prove injury of the type that the antitrust laws were intended to prevent (…). The injury must reflect the anticompetitive effect of either the violation or of anticompetitive acts made possible by the violation”. Lo scopo della Sottocommissione è dunque quello di semplificare l’onere della prova in capo ai ‘ricorrenti’, al fine di facilitare l’accesso alla giustizia; secondo il Report, infatti, il danno in materia di antitrust così come elaborato dalle corti ha sostanzialmente minato “Congress’s granting of enforcement authority to any person…injured…by reason of anything forbidden in the antitrust laws”.

 

 

In conclusione, il Subcommittee rivela una precisa capacità di analisi, che non solo intende valorizzare il ruolo del Congresso, con l’adozione di nuove norme, ma anche prestare molta attenzione al versante attuativo, nel quale pari rilievo viene dato al doppio binario di tutela, costituito dal public e dal private enforcement, entrambi essenziali se si intende dare una risposta ai nuovi fenomeni sociali ed economici che permeano la vita sociale.

 

Riprendendo quanto affermato da Margrethe Vestager il 30 ottobre scorso, “Because today, a few big platforms are increasingly important as the place where we go for news and information, the place where we carry on our political debates. They define our public space – and the choices they make affect the way our democracy works. They affect the ideas and arguments we hear – and the political choices we believe we can make. They can undermine our shared understanding of what’s true and what isn’t – which makes it hard to engage in those public debates that are every bit as important, for a healthy democracy, as voting itself. So we can’t just leave decisions which affect the future of our democracy to be made in the secrecy of a few corporate boardrooms”.

 

È proprio questo un aspetto di fondo del rapporto, che abbiamo già sottolineato. Dall’economia alla tecnologia, il nesso con gli strumenti su cui si fonda la democrazia è ormai evidente. Non è più ammissibile lasciare gli sviluppi del settore nelle — sole — mani private.

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