In questa pagina si riportano due brani tratti da un libro forse ingiustamente dimenticato, Ritorno alla censura di Vitaliano Brancati, uno dei volumi editi nel dopoguerra da Laterza nella mitica collana de “I libri del tempo”.
Brancati (1907-1954) era scrittore molto noto e apprezzato sceneggiatore cinematografico. Dopo una giovinezza trascorsa da fascista in camicia nera, su posizioni di adesione militante al regime, nel 1934, deluso dall’inclinazione al compromesso e dalla rinuncia fascista a una vera “rivoluzione”, era rientrato in Sicilia, la sua regione di provenienza, ripudiando di fatto le sue opere precedenti ligie al fascismo. Dopo un periodo di silenzio, Don Giovanni in Sicilia, il romanzo pubblicato nel 1940, fu la prima prova di una sopraggiunta nuova vena letteraria assai distante dalla precedente. Il bell’Antonio (1949) riprese e approfondì in chiave satirica e apertamente comica la critica feroce di una certa società siciliana, conservatrice, maschilista sino all’eccesso e perennemente rinchiusa nel suo piccolo, angusto universo provinciale.
I due brani qui di seguito sono però tratti da un altro libro, una sorta di pamphlet nel quale Brancati coglieva acutamente e poneva alla berlina i “vizi capitali” della censura democristiana e clericale. In quegli stessi uffici di via Veneto, sedevano quegli stesso funzionari scampati all’epurazione. E vi esercitavano la medesima occhiuta sorveglianza verso qualunque manifestazione del pensiero che potesse anche alla lontana disturbare il nuovo potere.
Il lettore attento vedrà come in entrambi i brani aleggi la immanente figura di un sottosegretario alla Presidenza del consiglio che ebbe in quegli anni dal presidente De Gasperi la delega a gestire la censura teatrale e cinematografica. E non stenterà a riconoscere, specie nel ritratto nel secondo brano, la figura di un giovanissimo Giulio Andreotti.
Nel 1948, il film “Anni difficili”, tolto dal mio racconto “Il vecchio con gli stivali”, stava per essere vietato. Nel film si vedevano gli impiegati del Ministero della Cultura del 1935 dichiarare la “Norma” di Bellini opera antifascista, perché si parlava male di Roma. E gl’impiegati del Ministero della Cultura del 1935 erano quegli stessi impiegati del 1948 che ora assistevano alla proiezione privata del film come giudici e censori in nome dell’Italia democratica. Ma “Anni difficili” passò. Io dissi al produttore: “Hanno avuto paura degli articoli dell’Europeo”. Il produttore sorrise. Se la ragione fosse stata quella si sarebbe allarmato lui (in Italia molta gente preferisce essere malmenata dalla polizia piuttosto che difesa dalla stampa). Per fortuna la vera ragione si trovava nelle tradizioni del nostro Paese: era stato messo in tutta fretta tra i nomi degli sceneggiatori del film quello di un ragazzo che aveva assistito due o tre volte con gli occhj imbambolati e in silenzio alle nostre ultime sedute di lavoro. Questo ragazzo faceva parte del gabinetto del sottosegretario, ed era suo amico.
L’odio per la cultura ha in Italia un ufficio apposito, che una volta si chiamava, con ironia involontaria, Ministero per la cultura popolare, e oggi Sottosegretariato per lo spettacolo e per le informazioni. Il titolare di questo Sottosegretariato è una persona che mi dicono abbastanza giovane. Nel suo volto, quale appare nelle fotografie, c’è come un’implorazione di indulgenza. E non saremmo noi a negargli quest’indulgenza, prima di tutto per l’incapacità che abbiamo a trovare antipatica qualunque persona, e poi perché si tratta di un giovane che domani potrebbe apparirci recando sul viso i riflessi dell’intelligenza di cui, per un processo di maturazione, fosse diventato inaspettatamente il difensore. Ma un giovane di questa qualità non deve essere messo a contatto con la cultura, specialmente se il contatto con la cultura consiste, come sempre in quel palazzo di via Veneto, nel far da tramite, per non dire da spia, fra l’autore che ha scritto una commedia o un soggetto e la polizia che deve proibirlo.