Con la direttiva n. 3 del 4 maggio scorso, il Ministero per la pubblica amministrazione ha fornito alcuni chiarimenti in ordine all’utilizzo dello strumento dello smart working da parte delle pubbliche amministrazioni. In particolare, la direttiva precisa che le amministrazioni dovranno rendere il lavoro agile lo strumento primario nell’ottica del potenziamento dell’efficacia e dell’efficienza dell’azione amministrativa. Tuttavia, l’esperienza vissuta dagli uffici pubblici e dagli amministrati in piena pandemia insegna che vari potranno essere i problemi che dovranno essere affrontati per assicurare questo tipo di cambiamento.
Con la direttiva n. 3 del 4 maggio scorso, il Ministero per la pubblica amministrazione ha fornito alcuni chiarimenti in ordine alle “Modalità di svolgimento della prestazione lavorativa nell’evolversi della situazione epidemiologica da parte delle pubbliche amministrazioni”.
Anzitutto, la direttiva precisa che, nello scenario attuale, la disciplina normativa applicabile alle pubbliche amministrazioni continua a essere quella contenuta nell’articolo 87 del d.l. n. 18/2020 (c.d. decreto-legge “Cura Italia”), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27/2020; questo articolo (recante “Misure straordinarie in materia di lavoro agile e di esenzione dal servizio e di procedure concorsuali), tra le altre cose, ha definito il lavoro agile come “modalità ordinaria” di svolgimento della prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni, fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19, ovvero fino ad una data antecedente stabilita con dpcm su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione.
Si tratta di una normativa che deve però essere letta alla luce delle misure di ripresa, introdotte dal DPCM 26 aprile 2020, che ha ampliato il novero delle attività non più soggette a sospensione. In particolare, le pubbliche amministrazioni possono (e, al fine di non incorrere in responsabilità, devono) rivedere sia il novero delle attività indifferibili che quello delle attività da rendere in presenza, anche per assicurare il necessario supporto all’immediata ripresa delle attività produttive, industriali e commerciali, ora non più sospese.
Senza dubbio, nel procedere in questo senso, esse dovranno tener conto del fatto che, al momento, i termini dei procedimenti amministrativi non sono più soggetti alla sospensione che, nella fase 1, era stata disposta in via generalizzata dall’art. 103 del d.l. n. 18/2020.
Rileva sul punto, poi, quanto disposto dall’art. 263 del Decreto rilancio, contenente disposizioni in materia di flessibilità del lavoro pubblico e di lavoro agile.
Allo stato, le amministrazioni pubbliche hanno agito in maniera differente: ognuna, quindi, ha effettuato le scelte che ha ritenuto maggiormente in linea con le proprie esigenze. Non poche, tuttavia, sono state e sono le difficoltà che certi uffici hanno riscontrato e riscontrano nel perimetrare l’insieme delle attività indifferibili, ovvero di quelle da effettuare in presenza. Probabilmente, le amministrazioni centrali avrebbero potuto quantomeno guidare le scelte delle proprie amministrazioni periferiche, anche al fine di garantire una certa uniformità d’azione a beneficio degli amministrati.
Si legge nella direttiva che gli esiti del monitoraggio che il Dipartimento della funzione pubblica ha avviato attestano che le pubbliche amministrazioni hanno ampiamente utilizzato il lavoro agile, “dimostrando come il settore pubblico abbia saputo reagire con prontezza all’emergenza”.
Una ricerca presentata di recente da FPA, società del gruppo Digital360 (‘Strategie individuali e organizzative di risposta all’emergenza’, che ha visto la partecipazione di 5.225 persone -80% delle quali dipendenti pubblici-) ha dimostrato che allo smart working “imposto” dalla pandemia hanno risposto oltre 4.000 dipendenti pubblici.
In particolare, il 73,8% dei dipendenti che ha lavorato da remoto dichiara di essere riuscito a svolgere tutte le attività di propria competenza; per il 41,3% dei pubblici impiegati, l’efficacia lavorativa è migliorata, per cui non v’è stata alcuna perdita di produttività.
Invero, come è stato efficacemente rilevato, il formale (e obbligato) ricorso allo strumento del lavoro agile non sempre, sul piano sostanziale, è riuscito a garantire una efficienza della macchina amministrativa. Anche alla luce dei dati della ricerca di cui si è dato conto, ciò sembra essere dipeso tra le altre cose dal fatto che: a) i dipendenti hanno spesso avuto problemi ad adeguarsi al cambiamento, a causa delle scarse competenze digitali di cui disponevano; b) gli impiegati pubblici hanno dovuto fare i conti con la mancata messa a disposizione, da parte degli uffici, di dispositivi e strumenti digitali (il 68,2% del personale ha utilizzato il proprio PC, il 77,1% il proprio telefono cellulare, il 95% la connessione internet domestica); c) non tutti i lavoratori sono riusciti a munirsi di un appropriato supporto digitale, magari ulteriore rispetto a quello già posseduto, ma utilizzato dagli altri componenti della famiglia (per il 19,3% degli intervistati, il vero limite è consistito nel non possedere attrezzature appropriate); d) non sempre le linee internet casalinghe hanno retto al sovraccarico di dati (per il 21,8% dei dipendenti che hanno partecipato alla ricerca, un problema vero è stata la qualità della connessione).
La direttiva spiega che “le misure finora adottate rispetto all’intero territorio nazionale per il contenimento della situazione epidemiologica non hanno previsto la sospensione dell’erogazione dei servizi da parte delle pubbliche amministrazioni, pur essendo finalizzate a ridurre la presenza dei dipendenti negli uffici e ad evitare il loro spostamento”. Ma, in concreto, anche tenuto conto di quanto disposto in via generale dall’art. 103 cit. con riferimento a (tutti) i termini dei procedimenti amministrativi, non sembra che si possa davvero affermare con certezza che l’attività amministrativa, in questi mesi, tranne che per alcuni specifici uffici pubblici, sia andata esente del tutto da sospensioni.
Delle difficoltà che sono state affrontate dall’amministrazione sembra essere conscia la stessa direttiva, la quale infatti precisa che, alla luce dell’esperienza di questo periodo “si dovranno individuare gli aspetti organizzativi da migliorare, con particolare riguardo alla digitalizzazione dei processi e al potenziamento della strumentazione informatica, che non sempre si è rivelata adeguata nelle singole realtà amministrative”.
La necessità di ripensare i processi e assicurare il potenziamento della strumentazione informatica deriva dal fatto che, secondo il Ministero, le amministrazioni dovranno mettere a regime e rendere sistematiche le misure adottate nella fase emergenziale, al fine di rendere il lavoro agile lo strumento primario nell’ottica del potenziamento dell’efficacia e dell’efficienza dell’azione amministrativa.
Sotto tale aspetto, la direttiva precisa che le amministrazioni dovranno, già nella fase attuale, programmare i propri approvvigionamenti ricorrendo alle misure di ausilio allo svolgimento del lavoro agile, con l’obiettivo di migliorare la connettività e di acquisire le necessarie dotazioni informatiche mobili, servizi in cloud e licenze per attivare il lavoro agile. Contestualmente, le amministrazioni sono invitate ad individuare ogni misura utile a consentire la dematerializzazione dei procedimenti (ad es. provvedere, mediante il personale in presenza, alla scansione e all’invio della documentazione al personale in modalità agile; provvedere all’utilizzo di cloud, offerti gratuitamente anche in questa fase da provider privati, per l’archiviazione di documentazione), di modo tale che tutti i dipendenti possano svolgere la propria prestazione a pieno regime.
Sembra tuttavia che, in certi casi, le amministrazioni non dovranno migliorare ciò che già esiste, ma dovranno piuttosto preoccuparsi di introdurre ex novo metodi e strumenti che, allo stato, sono del tutto mancanti. In altri termini, non si tratterà di rendere più tecnologica un’amministrazione digitalizzata, ma di digitalizzare un’amministrazione che appare per svariati motivi ancora troppo analogica.
La direttiva precisa, poi, che sarà fondamentale il ricorso all’attività formativa come strumento di accompagnamento del personale nel processo di trasformazione digitale dell’amministrazione e di diffusione della capacità di lavorare in modalità agile per il raggiungimento degli obiettivi assegnati, limitando al massimo il rischio di stress correlato alle nuove modalità di lavoro e garantendo il diritto alla disconnessione, al fine di evitare che il datore interpreti erroneamente il concetto di “prestazione da remoto”. La precisazione riveste un certo rilievo, se si considera che, come riportato dalla ricerca condotta da FPA, per il 34,3% dei lavoratori la maggior flessibilità oraria si è tradotta in un incremento del tempo di lavoro e per il 22,3 % a causa del lavoro agile è stato difficile conciliare le esigenze familiari con quelle lavorative.
Nell’approntare il sistema, si dovrà in ogni caso tener conto del fatto che, come è stato dimostrato, il 35.9% dei “lavoratori agili” ha avuto difficoltà a mantenere delle relazioni sociali con i colleghi e che il 27.9% di essi ha provato una sensazione di isolamento lavorativo.
Inoltre, resterà da capire come si potrà garantire il controllo/la tracciabilità delle attività svolte a distanza dai vari dipendenti senza ledere il loro diritto alla privacy.
Si ritiene, in ogni caso, che il lavoro agile possa e debba essere concretamene reso effettivo solo una volta che sarà stata previamente assicurata la capacità delle singole pp.AA. di dotare di adeguati strumenti informatici tutti i vari dipendenti potenzialmente legittimati a effettuare il lavoro da remoto: solo così, tenuto conto dell’esistente differenziale digitale nelle famiglie italiane, si potrà evitare la creazione di ulteriori disuguaglianze sociali.
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