Tra i riformatori dello Stato burocratico dell’età giolittiana, occupa un posto d’onore l’allora giovane direttore generale dei Lavori pubblici Meuccio Ruini (1877-1970). La sua critica al modello del lavoro burocratico basato sugli eccessivi e inutili controlli e sulla cavillosità dei regolamenti è ben rappresentato da questa impietosa ma a tratti anche gustosa analisi dei vizi della burocrazia ministeriale.
Un capo ufficio moderno e intelligente, che non tema i brontolii dei colleghi in «grossa bonnetteria», può senz’altro diminuire il numero dei suoi dipendenti, quando questi lo aiutino nella ricerca dello svecchiamento. Ma, ahimé, quante croste di abitudini e di errori e di pregiudizi bisogna spezzare! Quanti strilli per un gradino saltato, per una sincera confessione che, a far una data cosa, gli impiegati destinati sono troppi! Purtroppo, ove la muffa burocratica è più tenace, è in alto; e, giù, le organizzazioni dei travicelli umilissimi non si sentono interessate alla responsabilità del lavoro, e si estraniano col pretesto della vita d’ufficio, ove regna non la collaborazione amichevole, ma lo spagnolismo e il sospetto dei pezzi grossi. Più facili, del resto, sono i bei gesti di palingenesi amministrativa, di capovolgimento legislativo, di rinnovamento ex imis, più facili del lavoro oscuro ed ingrato di semplificazione cotidiana. Da questo si dovrebbe invece cominciare.
In ogni Ministero e in ogni Ufficio, che abbia un’associazione o una sezione di associazione, si deve porre il quesito spicciolo: si può far andare avanti la baracca burocratica meglio e con meno gente? E cercar di rispondersi, con la piana esperienza, nella quale risiede talvolta la più profonda saggezza. Mettiamo un po’ il naso in uno qualunque dei Ministeri dell’italico regno. Arriva una lettera o un foglio d’ordine o una pratica (…). E, precisamente, arriva all’Ufficio di spedizione centrale; di là è mandato alla Direzione generale, o, comunque si chiami, al servizio competente; dorme un po’ sul tavolo di un segretario particolare, o qualcosa di simile, del direttore generale; giunge sotto gli occhi, in mille “pratiche” assorti, del direttore generale. Una sua sigla in fretta; ed il foglio viaggia al capo-divisione, e scende per li rami al capo-sezione. Il capo-sezione manda finalmente le carte all’archivio, ove il foglio soletto trova la sua famiglia, si collega ai precedenti, viene protocollato, prende posto sovra la «camicia» d’un fascicolo e ritorna al capo-sezione, che l’assegna al segretario o vice-segretario che deve trattare l’affare. Respiriamo; è la méta. L’impiegato legge il foglio, prepara in minuta la risposta, e rimette in movimento il disgraziato fascicolo. Il quale pian piano, con sonnellini intermedii, ritorna al capo-sezione, che rivede, approva e «vista». Il capo-divisione fa altrettanto. E poi dietro-front: la minuta, col suo «motore» (si chiama così il foglio che le ha dato origine), va in copiatura. Eccola bell’e ricopiata, linda, pronta alla firma. Pardon, no: è necessaria la collazionatura; il segretario minutante confronta se ci sono errori materiali di scrittura. E la pratica riprende il trotto. Per la terza volta va davanti al capo-sezione, e poi al capo-divisione, ed – infine! – al direttore generale. Se le cose vanno bene, e se il signor direttore non trova nulla da dire, firma, salvo che non si tratti di cosa di competenza del Ministro; nel qual caso bisogna attendere che S.E. trovi il minuto di tempo per segnare questa carta, fra le centinaia che ogni giorno gli sono portate davanti e che egli è impossibilitato di leggere.
Quando, dopo quel po’ po’ di via crucis, il nero è su bianco, la via crucis non è ancora terminata. La pratica torna a camminare, anzi a discendere, dal ministro al direttore generale, dal direttore generale al capo-divisione, dal capo-divisione al capo-sezione, dal capo-sezione al segretario minutante. Auff! è finita. Il minutante (che il più delle volte ha la laurea) deve verificare se vi stanno tutti gli allegati. Manda all’archivio. L’archivio spedisce. Sono in complesso 18 o 20 passaggi che fa una carta, anche ove richiegga il più semplice dei provvedimenti, anche ove si tratti di accusare ricevuta (così il gergo) del modulo a stampa B, n. 743.
Chantecler (Meuccio Ruini), Nel mondo burocratico: le riforme che si possono far subito, in «Critica Sociale», XIX, n. 13, 1° luglio 1905, pp. 196-197.