Come nasce la riflessione sullo sviluppo di una moneta digitale emessa dalle banche centrali? Quali vantaggi e benefici potrà apportare questo tipo di valuta? Quali sono le problematiche tecniche e giuridiche sottostanti? Quali progetti si presentano, in concreto, all’orizzonte, e come si rapporteranno con iniziative private analoghe? Ma, soprattutto: cosa è una moneta digitale di banca centrale, e cosa la rende innovativa?
La febbre digitale non risparmia le maggiori banche centrali del mondo.
Mentre la pandemia globale e le sue drammatiche conseguenze economiche spingono le istituzioni monetarie a sfidare il proprio mandato per far fronte al dilagare di una crisi senza precedenti e dai contorni incerti, il destino della moneta fisica sembra lentamente avviarsi sul viale del tramonto. Pesa, a tal riguardo, non soltanto la stessa lotta alla diffusione dei virus, ma anche l’incedere del progresso nel vasto e magmatico campo delle tecnologie applicate alla finanza. Se, nell’immediato, il trend di crescita dei pagamenti digitali potrebbe trovare ulteriore slancio in conseguenza dei numerosi cambiamenti di abitudini sollecitati dall’epidemia da Sars-Cov-2, la diramazione monetaria pubblica del fenomeno noto come FinTech trae origine dall’ormai decennale volatile diffusione delle criptovalute.
Come nasce la riflessione sullo sviluppo di una moneta digitale emessa dalle banche centrali? Quali vantaggi e benefici sono attesi? Quali sono le problematiche tecniche e giuridiche sottostanti? Quali progetti si presentano, in concreto, all’orizzonte, e come si rapporteranno con iniziative private analoghe? Ma, soprattutto: cosa è una moneta digitale di banca centrale, e cosa la rende innovativa?
Alla ricerca di una definizione
L’idea di assicurare una fruizione digitale delle valute aventi corso legale non è emersa nel XXI secolo. Già nel 1985, James Tobin aveva delineato gli impatti per la politica monetaria derivanti dalla diffusione di sistemi automatizzati di scambio del denaro, e tracciato il ruolo che le banche centrali avrebbero giocato in un tale scenario. Tobin si confrontava con un contesto storico in cui era forte la spinta alla deregulation sotto l’influsso della corrente neoliberista, e in cui i costi di transazione associati al trasferimento degli asset finanziari si andavano riducendo enormemente grazie alle nuove tecnologie.
Il concetto “contemporaneo” di moneta digitale di banca centrale (o, più brevemente, “CBDC”, come acronimo di central bank digital currency) è tuttavia ben più recente, e presenta numerose sfaccettature, derivanti dal modo in cui le moderne banche centrali operano in tutto il mondo per manovrare la base monetaria interagendo con le diverse istituzioni finanziarie.
Non a caso, la definizione proposta dalla BIS, chiarisce cosa non è una CBDC: per essere innovativa, infatti, questa dovrebbe configurarsi come qualcosa di diverso, più diffuso e sofisticato dei sistemi digitali con i quali già oggi le banche centrali già da tempo gestiscono le riserve frazionarie e i conti di regolamento detenuti presso di esse dalle istituzioni finanziarie, strumenti attraverso i quali regolano, tra l’altro, la base monetaria.
In linea generale, una CBDC presenterebbe tre caratteristiche proprie di ogni “valuta tradizionale”: la natura contabile di passività emessa, per un tempo indefinito e senza remunerazione, da parte di una banca centrale; la denominazione secondo una unità di conto esistente; la funzione di mezzo di scambio e unità di conservazione del valore, garantita anche dal suo status di valuta dotata di corso legale.
Le specifiche tecniche e giuridiche ne determinerebbero, poi, l’effettiva capacità di sostituire in maniera piena il denaro contante: mentre una valuta digitale concepita per una diffusione limitata potrebbe avere un uso circoscritto al regolamento delle transazioni all’ingrosso di determinate tipologie di asset finanziari tra gli operatori di mercato, una CBDC ad accesso pubblico generalizzato – all’estremo opposto – consentirebbe anche ai singoli cittadini di farne pieno uso attraverso wallet digitali, di fatto sostituendo (o integrando) la circolazione del denaro contante. In quest’ultimo caso, le implicazioni per la politica monetaria e per il sistema bancario sarebbero estremamente significative, creandosi un rapporto sempre più diretto tra privati e istituti di emissione, con una ridotta esigenza di forme di intermediazione attraverso il circuito bancario-finanziario tradizionale.
Le problematiche
La possibilità per le banche centrali di emettere valute digitali è strettamente legata alla risoluzione di problematiche regolatorie, tecnologiche e macroeconomiche di non poco conto.
Dal primo punto di vista, la CBDC porrebbe questioni legate alla possibilità statutaria per le banche centrali di emettere questo tipo di passività e di consentire un accesso pubblico diffuso. Ulteriori dubbi riguarderebbero la capacità di gestire i rischi legati a un uso delle valute digitali “anonime” per finalità di riciclaggio e finanziamento del terrorismo, e di assicurare adeguata protezione alla privacy degli utilizzatori, i cui movimenti risulterebbero continuamente tracciati all’interno dei registri informatici detenuti dall’istituto di emissione.
Sul versante tecnologico, le maggiori preoccupazioni riguardano la sicurezza informatica e la continua minaccia di frodi, nonché il livello di stabilità e robustezza delle soluzioni tecniche necessarie a un effettivo funzionamento di un regime di emissione integralmente digitale e incentrato sulla distributed ledger technology (DLT).
I profili e gli impatti macroeconomici hanno, inoltre, un ruolo non secondario nel dibattito corrente, specie con riguardo al modo in cui muterebbe la capacità delle banche centrali di trasmettere gli impulsi di politica monetaria e alla complessiva trasformazione del sistema finanziario. Sotto quest’ultimo versante, in particolare, l’emissione di valute digitali attribuirebbe alle banche centrali un ruolo molto più pervasivo nel sistema degli interscambi economici, con un impatto notevole sulla posizione oggi detenuta dalle banche commerciali nel campo dell’intermediazione dei pagamenti e della raccolta di risorse liquide da parte della clientela. Se un eventuale declino della profittabilità per le banche tradizionali potrebbe avere implicazioni per la stabilità finanziaria, inducendole a impegnare risorse in investimenti più rischiosi, l’accesso rapido a una riserva digitale sicura potrebbe condurre a rapidissime corse ai depositi bancari in situazioni di panico finanziario: con un solo click, milioni di utenti potrebbero infatti rapidamente trasformarli in valuta digitale sicura, senza subire gli inconvenienti oggi associati al ritiro fisico di denaro contante da uno sportello bancario.
I progetti
Ad oggi, almeno una quindicina di banche centrali hanno mostrato un qualche interesse o svolto approfondimenti per il lancio di una CBDC all’interno della propria giurisdizione.
Gli esempi più avanzati sono rappresentati dalle iniziative portate avanti dagli istituti di emissione svedese e cinese. In Svezia, la Riksbank ha annunciato l’avvio di un progetto pilota, destinato a proseguire fino al 2021, per testare lo sviluppo di una criptovaluta statale denominata e-krona: quest’ultima diverrebbe complementare alla moneta cartacea, potendo essere utilizzata – secondo il modello “diffuso” – anche da cittadini e imprese attraverso DLT. Nel paese scandinavo, la spinta allo sviluppo di una valuta digitale pubblica si correla alla sempre più scarsa diffusione del contante, e al ricorso stabile ai pagamenti elettronici nella vita di tutti i giorni.
Dal canto suo, la banca centrale cinese starebbe sviluppando, in grande segreto, un proprio progetto per l’emissione di una valuta digitale. La moneta verrebbe utilizzata per il settlement delle transazioni tra gli intermediari bancari, ma potrebbe presto divenire accessibile ai cittadini cinesi, da tempo sempre meno avvezzi all’uso del contante. Allo stesso tempo, le autorità hanno mostrato cautela a un uso generalizzato della CBDC, dato il notevole impatto che potrebbe aversi sul sistema bancario tradizionale.
Dove si posizionano, in questo dibattito, l’Europa e l’Italia?
In un’intervista ormai non più recente, l’ex direttore generale della Banca d’Italia aveva manifestato la cautela di via Nazionale verso il fenomeno delle valute virtuali, evidenziando i rischi legati alla maggiore tracciabilità della moneta virtuale rispetto alle esigenze di privacy degli utenti e alla potenziale contrazione dei finanziamenti a disposizione del sistema bancario, con rischi di fuga digitale dei depositi in caso di crisi.
All’inizio di gennaio, la BCE ha invece promosso l’istituzione di un gruppo di lavoro per l’analisi delle problematiche e dei vantaggi legati all’introduzione di una CBDC, cui partecipano la BIS e le banche centrali di Regno Unito, Canada, Giappone, Svezia e Svizzera. L’iniziativa di Francoforte segue le aperture manifestate dal nuovo vertice dell’istituto europeo di emissione, Christine Lagarde, che ha più volte espresso l’intenzione di accrescere il ruolo della BCE nella corsa allo sviluppo delle valute digitali di banca centrale. Una corsa che – pur nel difficile contesto macroeconomico attuale – deve cercare di non perdere slancio, agganciando il treno della trasformazione digitale ormai inarrestabile.
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