Nel 1958 Leopoldo Elia (1925-2008) aveva 33 anni. Allievo del grande giurista Costantino Mortati, si era con lui laureato appena ventiduenne nel 1947 e dal febbraio 1950 era diventato un funzionario (apprezzatissimo) del Senato della Repubblica. Cattolico, legatissimo al gruppo dei dossettiani, dal 1962 avrebbe insegnato istituzioni di diritto pubblico prima a Urbino-Ancona, poi a Ferrara, poi a Torino e infine a Roma. Giudice costituzionale e poi presidente della stessa Corte, sarebbe poi stato eletto senatore Dc nel periodo 1987-92, nominato ministro per le riforme istituzionali nel governo Ciampi 1993-94 e ancora eletto deputato nel 1994-96 e senatore nella XIII legislatura 1996-2001. A lui si devono studi fondamentali, tra i quali ricordiamo qui solo la voce Forme di governo nell’Enciclopedia del diritto dell’editore Giuffrè.
Le pagine che seguono sono tratte da una conversazione radiofonica, poi stampata nella apposita collana, della serie “Classe unica”: un programma serale inaugurato dalla Rai il 1° marzo 1954 che proponeva agli ascoltatori cicli di lezioni tra letteratura, fisica, sociologia, economia, diritto e altri svariati campi del sapere. L’inizio delle trasmissioni era scandito dal terzo movimento della Sinfonia n. 40 k.550 di Mozart.
Le lungaggini burocratiche sono leggendarie; la gente se ne lamenta di continuo ed accusa soprattutto la pubblica amministrazione di pagare tardi i suoi creditori. E bisogna ammettere che le lamentele sono tutt’altro che ingiustificate, quando vediamo che il tempo impiegato per perfezionare un contratto d’appalto per opere pubbliche (…) va da un minimo di otto mesi a un massimo di due anni e nove mesi. Per i pagamenti poi è anche peggio; il costruttore di un ponte avrà i denari dallo Stato dopo una attesa che si prolungherà da quattordici mesi (se le cose vanno lisce) a ben quattro anni e mesi cinque. Questi dati, messi in luce dalle indagini dell’Ufficio per la riforma dell’amministrazione, spiegano da soli lo sdegno dei cittadini; ma onestamente bisogna aggiungere che la insofferenza di chi entra in contatto con gli uffici pubblici dipende anche dal fatto che egli ignora i complicati meccanismi di controllo costruiti dal legislatore per proteggere l’interesse di tutti.
Facciamo un esempio. Vediamo come fa lo Stato a costruire un palazzo nel quale deve trasferirsi un suo ufficio (…). Prima di tutto la spesa deve essere deliberata: ci vorrà dunque una legge (o in altri casi una deliberazione amministrativa) che stabilisca la costruzione del palazzo e preveda la somma necessaria. È come una promessa che lo Stato fa ai cittadini: ma ancora non c’è l’impegno, l’obbligo a pagare i danari ad una impresa, a una determinata ditta. Perché l’impegno ci sia, bisogna che l’amministrazione faccia un contratto di appalto con una certa impresa edilizia, obbligandosi a effettuare il pagamento in cambio dell’esecuzione dei lavori (…). Ma prima di arrivare a questo contratto ci vuole tutta una serie di interventi, che prendono un tempo che non è facile immaginare: oltre al parere degli organi tecnici (per esempio, il Consiglio superiore dei Lavori pubblici), il progetto di contratto deve passare al vaglio del Consiglio di Stato, che esamina se sia o no conforme alla legge e a tutte le altre disposizioni contenute nei regolamenti e nei capitolati, nonché se sia conveniente dal punto di vista delle regole della buona amministrazione. Né può mancare il controllo della Ragioneria del Ministero che fa costruire il palazzo, per vedere se la legge del bilancio contiene un capitolo in cui si possa fare rientrare la spesa e per vedere anche se la somma necessaria è ancora disponibile. Quando finalmente il Ministro ha approvato il contratto con un suo decreto, voi direte che ormai è fatta. No, non basta ancora. A questo punto entrerà in campo la Corte dei Conti, per controllare sia la legittimità del contratto sia la sua regolarità finanziaria. Pensate ai mesi che passano se la Corte dei Conti fa dei rilievi. Il Ministero interessato lascia trascorrere talvolta fino a un anno prima di rispondere alle osservazioni del supremo organo di controllo: ha bisogno di documentarsi, di chiedere lumi ad altri uffici, e così via. Un questo modo nascono carteggi mostruosi che impiegano stagioni intere per trasferirsi dalla sede di un Ministro alla sede della Corte (…). Assunto finalmente l’impegno, quei soldi non si possono ancora riscuotere; nel caso del nostro appalto per il palazzo, la spesa diventerà esigibile a lavori finiti, col collaudo (salvo pagamento di acconti). Solo allora si saprà con assoluta precisione quanto lo Stato deve pagare (…). Siamo arrivati, dopo la liquidazione, alla fase fatidica del pagamento; il credito, come si dice, è maturo. Ma prima di poter essere colto dal ramo dal quale è ostinatamente attaccato, ci vorrà ancora un bel po’: il Ministro che ha preso l’impegno della spesa non può pagare lui il costruttore. (…). Il Ministro emetterà un mandato di pagamento a favore dell’impresa: questo titolo di spesa o ordine di pagamento, per essere efficace, dovrò recare il visto della Ragioneria centrale addetta al Ministero e dovrà, soprattutto, avere il visto della Corte dei Conti. (…). Finalmente il mandato di pagamento, munito di tutti i crismi, arriva alla Tesoreria (che nelle province è costituita dalla Banca d’Italia): e il cassiere, dopo aver controllato, sotto la sua personale responsabilità, che il mandato sia in piena regola e abbia tutti i visti, dopo essersi accertato che chi gli sta davanti è proprio il creditore nominato nell’ordine di pagamento, tira fuori i quattrini.
Leopoldo Elia, Il cittadino e la pubblica amministrazione, Roma, Edizioni Radio Italiana, 1958, pp. 46-48.