Si susseguono giudizi negativi sull’operato delle Regioni.
Una volta queste valutazioni facevano parte del conflitto tra centro e periferia. Ora vedono contrapposte anche le Regioni tra di loro, persino quelle gestite dalle stesse forze politiche.
L’istituto regionale ha retto alla pandemia? Quale bilancio trarre da mezzo secolo di storia regionale italiana?
Erano state disegnate come enti con compiti legislativi, perché esercitassero normalmente le loro funzioni amministrative delegandole a comuni e province o avvalendosi dei loro uffici: così disponeva la Costituzione.
Sono invece diventate corpi amministrativi, anche per colpa dell’alluvionale, straripante legislazione nazionale. Le leggi regionali sono poche, interstiziali e per lo più ripetitive, in barba alla differenziazione che l’autonomia comportava. L’energia delle Regioni è per tre quarti assorbita da compiti amministrativi, principalmente nel campo sanitario.
Dovevano essere la palestra per la formazione di una classe dirigente politica nazionale, che sapesse gestire oltre a dilettarsi di schermaglie e intrighi politici.
La fucina della nuova politica ha funzionato solo in pochi casi.
Continua a leggere l’editoriale di Sabino Cassese pubblicato sul Corriere della Sera del 24 maggio.