Il digital compass della Commissione UE fissa all’80% l’obiettivo dii identità digitali della popolazione europea, da raggiungere entro il 2030. I due principali ostacoli al raggiungimento di questo obiettivo sono la diffusa carenza di competenze digitali e il numero di soggetti privi di identità legale (e pertanto impossibilitati ad avere un’identità digitale). Per questi ultimi, un’iniziativa filantropica privata prova a risolvere il problema utilizzando tecnologia blockchain. Cambiano così i fattori abilitanti dell’identità: non più i registri delle pubbliche amministrazioni, ma i dati certificati attraverso un telefono cellulare
L’identità digitale è tra i fattori abilitanti più importanti per consentire l’erogazione di servizi pubblici digitali. Il digital compass della Commissione UE dedica al tema grande attenzione, chiedendo agli stati membri di dotare almeno l’80% dei propri cittadini di identità digitale (e conseguente abilitazione all’utilizzo di servizi pubblici online) entro il 2030 (ne abbiamo scritto QUI). Non a caso, l’identità digitale raccoglie gli investimenti più importante nei piani di transizione digitale sviluppati nei programmi nazionali di ripresa post-pandemica. L’Italia, ad esempio, ha l’obiettivo di raggiungere già entro il 2026 il 70% della popolazione con identità digitale. Stanzia a tal fine 6,14 miliardi di Euro per la digitalizzazione dei servizi pubblici (di transizione digitale nel PNRR abbiamo scritto QUI).
Ci sono due grandi ostacoli alla diffusione dell’identità digitale. Il primo è il più noto, e riguarda i divari digitali, e cioè la carenza di competenze digitali diffusa in segmenti più o meno ampi della popolazione. La dimensione – e quindi la gravità – del problema può variare a seconda del numero di soggetti in condizione di inabilità rispetto all’uso di identità digitale. Per cui, ad esempio, la percentuale di ultrasessantenni, quella di laureati, ma anche quella della popolazione carceraria o di coloro i quali vivono in aree extra-urbane non raggiunte da connessioni ad alta velocità.
C’è però un secondo ostacolo, meno noto ma numericamente consistente, e riguarda i soggetti privi di identità legale, e pertanto impossibilitati ad avere un’identità anche in formato digitale. Secondo le stime della Banca Mondiale, almeno 1 miliardo di individui è in questa condizione globalmente. I sans-papiers del 21esimo secolo sono individui cui sono negati diritti fondamentali (il diritto al voto, ad esempio) oltre che impossibilitati a svolgere attività comuni come l’accesso al credito o l’esercizio di un’attività professionale. Molto spesso si tratta di rifugiati politici o immigrati irregolari, il più delle volte residenti in economie in via di sviluppo (45% donne e 28% uomini, sempre secondo le stime della Banca Mondiale).
La Banca Mondiale nel 2014 ha lanciato la Identification for Development Initiative, e le Nazioni Unite hanno incluso negli obiettivi per lo sviluppo sostenibile l’azzeramento, entro il 2030, del numero di coloro che sono privi di identità legale. Ad oggi, tuttavia, nessuna di queste iniziative ha registrato una velocità di avanzamento tale da consentire di guardare con fiducia al raggiungimento degli obiettivi fissati entro i tempi stabiliti.
C’è però un dato interessante sul quale aprire una riflessione. In numerosi paesi – soprattutto in quelli in via di sviluppo – il numero di possessori di telefoni cellulari supera quello dei titolari di un conto bancario. Secondo le stime di Mastercard, sono almeno 600 milioni gli individui che, in 15 paesi, posseggono uno smartphone, ma non un IBAN. Costoro riescono comunque a svolgere semplici operazioni bancarie senza necessità di possedere un’identità digitale. Di qui l’intuizione della startup AID:Tech – abilitare, attraverso un’applicazione mobile, la creazione di un’identità digitale. Il principio di fondo è quello della tecnologia blockchain – ossia autenticazioni in sequenza dei dati, attraverso registri digitali. In questo modo è stato possibile registrare legalmente le nascite di bambini concepiti da madri prive di identità legale in Tanzania, rendendo queste ultime garanti di un data credit profile del proprio neonato. In Europa invece AID:Tech è stata coinvolta in un progetto di inclusione finanziaria, abilitando i beneficiari all’accesso a servizi bancari complessi.
La tecnologia di AID:Tech non può risolvere, da sola, il problema di coloro che sono privi di identità legale. Ha però un impatto significativo sulla trasformazione dei fattori abilitanti dell’identità: non più i registri delle pubbliche amministrazioni, ma i dati certificati attraverso un telefono cellulare.
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