L’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha disposto l’avvio di una formale istruttoria nei confronti di Google per accertare l’esistenza di uno sfruttamento abusivo della sua posizione dominante nel mercato del display advertising. L’indagine intende dimostrare il carattere anticoncorrenziale delle pratiche commerciali imposte da Google ai propri concorrenti.
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha avviato un’istruttoria nei confronti di Google per abuso di posizione dominante nel mercato dei servizi di intermediazione pubblicitaria online (c.d. display advertising). Il provvedimento segue la segnalazione effettuata dall’Interactive Advertising Bureau Italia (IAB), l’associazione rappresentativa delle imprese attive nel settore della comunicazione e della pubblicità digitale.
Da quanto emerge dalle sommarie indagini condotte dall’Autorità, Google avrebbe posto in essere diverse condotte discriminatorie nei confronti dei propri concorrenti nel mercato della raccolta pubblicitaria online, impedendo l’utilizzo dei dati raccolti attraverso le proprie applicazioni.
Tra le pratiche abusive segnalate rientra il rifiuto di fornire l’accesso alle chiavi di decriptazione dei simboli identificativi (ID) dei propri utenti. Google avrebbe inoltre interrotto la trasmissione degli spazi pubblicitari venduti da intermediari terzi sulla propria piattaforma di condivisione video (You Tube), bloccando anche il funzionamento dei servizi di tracciamento operati da terze parti sulle proprie applicazioni.
Il diniego di accesso ai dati degli utenti che utilizzano i servizi riconducibili a Google impedisce agli altri intermediari di riprodurre la stessa capacità di profilazione utilizzata da Google nell’offerta dei propri servizi di raccolta pubblicitaria, consentendogli di ottenere di fatto un considerevole vantaggio competitivo.
Secondo l’Autorità le condotte poste in essere da Google avrebbero la chiara finalità di mantenere l’attuale capacità di offerta di servizi di intermediazione pubblicitaria.
La disponibilità e le modalità di sfruttamento dei dati da parte di Google non appaiono comparabili o replicabili dagli altri intermediari concorrenti, atteso che la raccolta degli stessi non avviene solo tramite le proprie piattaforme, ma anche sui siti e sulle applicazioni di terzi che utilizzano i servizi di analisi offerti da Google ai fini della profilazione degli utenti.
Il report Online platforms and digital advertising della Competition and Markets Authority inglese ha evidenziato che il potere di mercato detenuto nel settore dei motori di ricerca a carattere generale riveste una considerevole importanza nei mercati correlati di servizi complementari, incluso il mercato del display advertising. Ciò costituisce un valido incentivo economico che induce Google ad escludere i propri concorrenti al fine di proteggere la propria posizione di monopolio sia nel mercato dei motori di ricerca a carattere generale che nei mercati complementari.
Già nel marzo del 2019 la Commissione Europea aveva inflitto a Google una sanzione pari a 1.49 miliardi di euro per abuso di posizione dominante nel mercato della pubblicità online, avendo imposto clausole di esclusiva nei contratti con siti publisher terzi giudicate restrittive per la concorrenza.
Nel settore della intermediazione pubblicitaria online Google detiene attualmente quote superiori all’80%. Come sottolineato dalla Commissione Europea nella decisione Google Shopping, il modello di integrazione tra l’ampia gamma dei servizi offerti da Google, unito agli effetti di rete e alle imponenti economie di scala, determina la posizione di assoluta dominanza di Google nel mercato del display advertising.
L’indagine avviata dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato è idonea a determinare future ripercussioni nell’assetto del mercato dei servizi di intermediazione pubblicitaria online, il quale nel 2020 ha registrato in Italia un valore prossimo ai 3,19 miliardi di euro.
La decisione è destinata inoltre ad inserirsi nell’attuale dibattito riguardante l’imposizione di obblighi di condivisione dei dati a fini concorrenziali, anche quando questi non risultino conformi ai principi espressi dal Regolamento generale sulla protezione dei dati personali n. 679/2016.
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