La Legge finanziaria francese per il 2020 consente all’amministrazione fiscale di raccogliere ed elaborare le informazioni pubblicate dagli utenti sui propri profili social per finalità di controllo e di lotta all’evasione. La visibilità social rischia così di diventare “una trappola che noi stessi aiutiamo a costruire”.
Con la Décision n° 2018-765 DC du 12 juin 2018 il Conseil Constitutionnel ha riconosciuto la legittimità dell’utilizzo degli algoritmi nel procedimento amministrativo, a condizione che sia assicurata la piena intellegibilità della procedura algoritmica e – qualora la decisione si fondi o riguardi dati sensibili – che la decisione finale non risulti completamente automatizzata.
In tale contesto, l’art. 154 della Legge Finanziaria francese per il 2020 (LOI n° 2019-1479 du 28 décembre 2019 de finances pour 2020) ha autorizzato l’amministrazione fiscale e doganale – in via sperimentale, per la durata di tre anni – a raccogliere ed elaborare, in via automatizzata, le informazioni pubblicate dagli utenti sui propri profili social.
Oggetto del trattamento automatizzato possono essere tutti i contenuti che l’utente abbia deliberatamente divulgato sui propri profili social, con la sola esclusione, quindi, dei contenuti accessibili solo dopo l’inserimento di una password o un’apposita registrazione.
I materiali raccolti ed aggregati dall’algoritmo sono utilizzati dall’amministrazione fiscale e doganale per intercettare attività non dichiarate, verificare la corretta domiciliazione fiscale dei soggetti, come anche per portare alla luce illeciti specifici quali, ad esempio, il traffico e la compravendita illegale di tabacco, alcolici o metalli preziosi.
A tutela del diritto del cittadino a non essere sottoposto ad un trattamento completamente automatizzato – tanto più preminente in quanto il trattamento automatizzato può coinvolgere dati sensibili dell’interessato – viene escluso qualsivoglia automatismo tra gli esiti del controllo automatizzato ed il provvedimento amministrativo finale.
I risultati sono, infatti, trasmessi ai competenti uffici amministrativi, che hanno il compito di verificare – ed eventualmente implementare – il materiale raccolto dall’algoritmo fiscale, assumendo la decisione in ordine all’avvio (o all’archiviazione) del procedimento di controllo fiscale vero e proprio.
Nonostante le riserve espresse dalla Commission nationale de l’informatique et des libertés (Délibération n° 2019-114) du 12 septembre 2019), sino ad oggi la misura ha superato indenne il vaglio di legittimità costituzionale.
In termini generali, il Conseil Constitutionnel (Décision n° 2019-796 DC du 27 décembre 2019) ha richiamato la prerogativa del legislatore, sancita dall’art. 34 della Costituzione, di trovare un’adeguata ponderazione tra l’esercizio del diritto alla libera comunicazione e alla libertà di parola e l’obiettivo – avente parimenti rango costituzionale – della lotta alla frode e all’evasione fiscale. Naturalmente, poiché la libertà di espressione e di comunicazione costituisce una condizione di democrazia e una delle garanzie del rispetto di altri diritti e libertà, le relative restrizioni devono essere strettamente necessarie e proporzionali all’obiettivo da perseguire.
Con specifico riferimento all’algoritmo fiscale, dopo avere confermato che le disposizioni della Legge Finanziaria siano effettivamente suscettibili di comprimere il diritto al rispetto della vita privata nonché – nella misura in cui possono scoraggiare l’uso di tali servizi o di portare a restrizioni del loro utilizzo – l’esercizio della libertà di espressione e di comunicazione, la Corte ha comunque ritenuto che le garanzie predisposte dal legislatore (i.e. il dovere di distruggere entro cinque giorni il materiale manifestamente irrilevante; l’obbligo di segretezza gravante sul funzionario etc.) risultino idonee a costituire una bilanciata conciliazione tra i valori costituzionali in gioco.
Ciononostante, permangono numerosi profili di perplessità, sia rispetto all’effettiva proporzionalità di tale misura di controllo – anche alla luce delle tutele del GDPR – che, più in generale, alle relative conseguenze sul piano pratico.
Seppure all’algoritmo fiscale non sia riconosciuta una portata decisoria vera e propria, quest’ultimo assolve comunque una funzione di impulso all’avvio del procedimento di controllo “umano” verso un target specifico di soggetti, ossia coloro il cui tenore di vita virtuale non sia coerente con la situazione reddituale dichiarata.
Tuttavia, non è affatto detto che la vetrina virtuale restituisca un riflesso fedele del tenore di vita reale: le esperienze degne di condivisione sono spesso, non tanto quelle quotidiane, bensì proprio quelle fuori dall’ordinario. Il rischio è, quindi, che l’algoritmo produca dei “falsi positivi”, fornendo al funzionario umano piste istruttorie inattendibili, frustrando così le stesse esigenze di economicità ed efficienza sottese all’impiego degli algoritmi nel procedimento di controllo.
Un secondo profilo problematico concerne la posizione del funzionario incaricato di verificare, ed eventualmente implementare, l’istruttoria algoritmica. Sia nel caso in cui il materiale raccolto dall’algoritmo rilevi ai fini fiscali sia che esso risulti del tutto inconferente, al funzionario viene dischiusa una significativa mole di informazioni – anche di contenuto sensibile – sui cittadini individuati dall’algoritmo come possibili evasori.
Nonostante il comma 1 dell’art. 154 ponga a carico dell’amministrazione l’obbligo di cancellare entro i successivi cinque giorni il materiale manifestamente ininfluente raccolto dall’algoritmo e quello contenente dati sensibili, tali dati sono pur sempre svelati, e una volta per tutte, al funzionario.
Data l’ampiezza e la rilevanza del materiale svelato, il mero segreto professionale – su cui ha posto l’accento la Corte costituzionale francese – non sembra essere una garanzia effettivamente adeguata e sufficiente a tutelare il diritto alla riservatezza degli utenti coinvolti nel procedimento di controllo.
Infine, non si può sottovalutare neppure il tema della libertà di espressione della platea degli utenti. La capacità di penetrazione del software fiscale (come anche dell’omologo umano responsabile della successiva istruttoria) potrebbe determinare un vero e proprio cambio di approccio ai social network.
Ad esempio, gli utenti potrebbero essere indotti ad astenersi dal condividere quelle esperienze apparentemente non coerenti con la propria fascia reddituale o a limitare tout court la condivisione, per evitare che il proprio vissuto – soprattutto quello finito accidentalmente nelle maglie dell’algoritmo – resti esposto all’amministrazione fiscale. Addirittura, alcuni potrebbero agire strategicamente, condividendo materiale idoneo ad ingannare l’algoritmo e a fornire una falsa rappresentazione della propria situazione reddituale.
Il rischio, forse sfuggito al Conseil Constituionnel, è che l’algoritmo fiscale possa attaccare la libertà di espressione in via indiretta – ma ugualmente pervasiva –, condizionando la maniera stessa in cui l’utente si racconta sulle piattaforme social.
La visibilità social rischia così di diventare, per usare le parole del filosofo Michel Foucault, “una trappola che noi stessi aiutiamo a costruire”.
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