La pandemia in corso sta incoraggiando l’implementazione di dispositivi e procedure di assistenza sanitaria digitale. Lo sviluppo di queste tecnologie non può però restare affidata alle iniziative di singole strutture ospedaliere e soggetti privati, ma si rende necessario un quadro regolatorio unitario, in grado di armonizzare gli applicativi digitali e di assicurare un’infrastruttura robusta e sicura.
Uno dei principali “effetti collaterali” della pandemia in corso è rappresentato – in Italia come nella maggior parte dei paesi coinvolti nell’emergenza sanitaria – dalla rapida implementazione di dispositivi e procedure di assistenza sanitaria digitale (la cd. e-Health).
La pandemia sta, infatti, incoraggiando Stati ed istituzioni sanitarie a orientarsi verso modelli di assistenza sanitaria digitale, con l’obiettivo non solo di limitare i contagi, ma anche di assicurare – nonostante i limiti alla libertà di circolazione – il mantenimento di adeguati standard di assistenza sanitaria a favore dell’utenza (sulle nuove tecnologie sviluppate nel contesto dell’emergenza epidemiologica Covid-19, si v. su questo Osservatorio, E. Schneider, Le nuove tecnologie e l’emergenza epidemiologica da Covid-19: un’occasione da non perdere).
Sin dalla comunicazione COM(2008)689 del 4 novembre 2008 (“Telemedicina a beneficio dei pazienti”) la Commissione europea ha incoraggiato gli Stati membri ad incrementare i propri sforzi nel campo dell’e-Health, rimarcando come la telemedicina sia in grado di migliorare notevolmente l’efficienza sanitaria e la qualità dell’assistenza ai pazienti.
Proprio in virtù dei vantaggi in termini di efficienza, di sostenibilità e di qualità della prestazione che l’e-Health è in grado di assicurare, l’Agenda digitale europea del 2010 ha annoverato l’assistenza sanitaria digitale tra gli obiettivi da conseguire entro il 2020 per preparare l’Europa alle sfide «che l’economia e la società, sempre più digitalizzate, porteranno nel lungo periodo».
In aggiunta a tali aspetti, nelle proprie Linee guida del 2019 (“Recommendations on digital interventions for health system strengthening”), l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha richiamato l’attenzione anche sul ruolo che l’e-Health può svolgere per assicurare una copertura sanitaria universale.
A questo approccio di fondo si ispira anche il documento “Telemedicina – Linee guida di indirizzo nazionali”, pubblicato nel 2012 dal Ministero della Salute italiano, in cui viene riconosciuto che l’innovazione tecnologica può contribuire alla complessiva riorganizzazione della assistenza sanitaria, in particolare dirigendo lo spostamento del fulcro dell’assistenza sanitaria dall’ospedale al territorio, assicurando «equità nell’accesso alle cure nei territori remoti, un supporto alla gestione delle cronicità, un canale di accesso all’alta specializzazione, una migliore continuità della cura attraverso il confronto multidisciplinare e un fondamentale ausilio per i servizi di emergenza-urgenza».
Eppure, nonostante le indicazioni programmatiche espresse dalle Linee guida, fino ad oggi l’assistenza sanitaria digitale non si è mai veramente affermata in Italia, restando le relative implementazioni sporadiche e frammentate.
Negli ultimi mesi, però, tale quadro sta decisamente cambiando: la pandemia ha dato una spinta decisiva allo sviluppo dei servizi di sanità digitale anche in Italia, facendo registrare, come è stato detto, 10 anni di evoluzione della salute digitale in 10 giorni.
Le esperienze virtuose nel campo dell’e-Health sono germinate rapidamente, sia in ambito pubblico che in quello privato.
Ad esempio, la startup Paginemediche ha messo a disposizione un chatbot in grado di fornire – analizzando la sintomatologia descritta dal paziente – indicazioni sullo stato di salute e raccomandazioni sui comportamenti da adottare in caso di rischio di contagio. Dal 7 febbraio ad oggi, secondo quanto riportato da Digital Health Care Italia, le chat attive sono state oltre 70 mila.
L’app ParkinsonCare, invece, offre gratuitamente un servizio di teleassistenza infermieristica dedicato ai malati di Parkinson. Nelle prime quattro settimane l’app ha gestito 908 interventi di supporto a malati di Parkinson e ai loro familiari, consentendo nel 74% dei casi l’efficace gestione infermieristica a distanza.
Sul fronte pubblico, nell’ambito del progetto Innova per l’Italia, il 24 marzo è stata bandita una fast call per reperire app e soluzioni tecniche di teleassistenza per pazienti domestici, anche per patologie non legate al Covid-19, alla quale hanno risposto complessivamente 823 progetti, di cui 500 legati all’assistenza sanitaria a distanza.
In parallelo, molte strutture sanitarie si sono già autonomamente organizzate nella sperimentazione di procedure di telemedicina e di teleassistenza.
Ad esempio, l’Asl di Chieti ha attivato un sistema di monitoraggio da remoto dei pazienti Covid-19 in isolamento fiduciario domiciliare per raccogliere e registrare – attraverso un contatto telefonico giornaliero – i parametri rilevati e gestire eventuali picchi e anomalie.
Il Centro Cardiologico Monzino ha attivato un servizio di telemonitoraggio domiciliare, clinico e strumentale, a favore del proprio personale sanitario, svolto attraverso tecnologie digitali appositamente sviluppate dal Centro.
L’IFO di Roma, che ha reso disponibile un servizio di teleconsulenza oncologica e dermatologica per le visite di controllo, follow-up e consulto, ha registrato in poco più di una settimana oltre 150 richiesti di teleconsulti.
Oltre alla cura ed al monitoraggio, le tecnologie digitali sono in grado di offrire un contributo prezioso anche nel campo della ricerca e della diagnostica.
Già oggi l’intelligenza artificiale è capace di raggiungere, nella diagnostica di molte patologie, un grado di precisione che supera quella dei radiologi più esperti. Secondo quanto riportato dalla rivista Radiology, sarebbe già stato sperimentato con successo un algoritmo – dotato di deep learning – in grado di diagnosticare, a partire da radiografie toraciche, il Covid-19 e di distinguerlo da altre patologie polmonari.
Tuttavia, soprattutto una volta che sarà superato l’attuale stato emergenziale, lo sviluppo dell’assistenza sanitaria digitale non può continuare ad essere affidato alle sole iniziative decentralizzate di singole strutture sanitarie e di soggetti privati.
L’assistenza sanitaria digitale comporta infatti la condivisione – sia pure con gradazioni differenti a seconda degli applicativi – di dati sanitari, con tutti i delicati problemi che ne derivano sotto il profilo giuridico e della sicurezza (si v. in questo Osservatorio, B. Carotti, A chi appartengono i dati sanitari?).
Connesso a tale aspetto è anche quello della cybersecurity: è un dato di fatto che i dati sanitari siano estremamente appetibili. Come riportato dalla rivista Wired.com, gli attacchi contro il settore sanitario stanno significativamente aumentando – emblematico è il caso di un attacco cibernetico a Singapore nel 2019 che ha portato alla diffusione dei dati sanitari di 14.000 pazienti affetti da HIV – di pari passo con l’incremento della mole di dati presenti nei database pubblici e privati.
Oltre ai rischi legati alla privacy dei pazienti – già di per sé idonei a giustificare l’adozione di contromisure robuste –, l’esposizione agli attacchi informatici ai danni di strutture pubbliche può comportare ritardi ed interruzioni nell’erogazione del servizio, errori diagnostici e disfunzioni.
È, dunque, di vitale importanza che la raccolta ed il trattamento dei dati sanitari avvenga all’interno di un ecosistema sicuro, in grado di rilevare, neutralizzare e difendere l’infrastruttura informatica ed il suo patrimonio di dati dagli attacchi cibernetici.
Ora che la pandemia sta contribuendo a mostrare il potenziale della sanità digitale, il suo sviluppo non può restare affidato alle iniziative di singole strutture ospedaliere e soggetti privati, bensì è necessario un quadro regolatorio unitario a livello nazionale, in grado di armonizzare gli applicativi digitali (anche al fine si assicurare l’interoperabilità dei sistemi) e, soprattutto, di assicurare un’infrastruttura robusta e sicura, a salvaguardia del patrimonio dei dati sanitari dei pazienti e dell’efficienza del sistema sanitario.
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