Il comparto sanitario nazionale è ontologicamente portato ad integrare e implementare nuove tecnologie, non solo in ambito strettamente clinico. Si pensi, ad esempio, alla raccolta e al trattamento dei dati sanitari dei pazienti (come la dematerializzazione del fascicolo sanitario) o, più in generale, al fenomeno del c.d. “e-health”, definizione onnicomprensiva di tutte le declinazioni della tecnologia informatica rispetto al sistema sanitario. Non in disparte la gestione clinica/patologica dei morbi e le evoluzioni scientifiche in ambito medico, occorre oggi interrogarsi pure su quale possa essere il ruolo della sanità – “digitalizzata” – nell’economia della cd. “Smart City”, modello di sviluppo che si impone con forza nell’evoluzione del contesto urbano e non delle città.
Quando si parla di modello Smart city e sanità “digitale”, ci si deve, anzitutto, soffermare su come la gestione della sanità locale possa riflettersi sulla realtà cittadina, rendendola più conforme alle necessità del bien vivre che permeano l’idea di città intelligente (si è parlato del tema anche qui).
Una prima riflessione prende le mosse dall’utilizzo dei big data per la raccolta e l’analisi delle necessità e dei rischi sanitari presenti nell’ambito cittadino. Ed infatti, ferma la raccolta e l’analisi dei dati clinici dei pazienti tramite il fascicolo sanitario elettronico, la capillare rete di sensori presenti sul territorio – con precipuo riferimento all’ambito cittadino – ben potrebbe consentire alle amministrazioni sanitarie di individuare, tempestivamente, le necessità della realtà urbana (e le speculari criticità), migliorando i tempi di reazione ed intervento, coordinando meglio i soccorsi e le reazioni delle altre forze pubbliche, ecc. Si consideri, ad esempio, pure la possibilità di monitorare la diffusione di malattie infettive sul territorio grazie a delle capillari e costanti rilevazioni dello stato di salute della popolazione residente, nonché di controllare più efficacemente il decorso delle malattie croniche.
Da tale angolo visuale e a titolo esemplificativo, le pratiche di c.d. “telemedicina” (altrimenti detta “e-health”) – definite come l’erogazione di servizi sanitari attraverso le tecnologie dell’informazione e della telecomunicazione al fine di scambiare informazioni utili alla diagnosi, al trattamento ed alla prevenzione delle malattie (intese quali strumenti per amplificare e non sostituire il rapporto di vicinanza e fiducia con il medico) – potrebbero consentire di sopperire al gap attualmente esistente tra aree diverse del territorio e, precisamente, di garantire anche alle zone più periferiche un’idonea copertura sanitaria , anche al fine di contrastarne lo spopolamento o l’abbandono. Sul punto, si consideri che – da tempo – l’ordinamento comunitario incentiva e sprona gli Stati aderenti e gli operatori del settore a adottare (o incrementare) le pratiche telemedicina, ovvero la prestazione di servizi di assistenza sanitaria a distanza.
Si pensi, invero, che già con la comunicazione COM(2008)689 del 04 novembre 2008 la Commissione aveva segnalato che la telemedicina può migliorare l’accesso all’assistenza specializzata in settori che soffrono di penuria di personale qualificato o in cui è difficile l’accesso all’assistenza medica. Il tele-monitoraggio può, infatti, migliorare la qualità della vita dei pazienti affetti da malattie croniche e ridurre i soggiorni in ospedale. I servizi come la tele-radiologia e la tele-consultazione possono contribuire a ridurre le liste d’attesa, ottimizzare l’uso delle risorse e rendere possibili aumenti di produttività: i vantaggi, di fatto, superano il semplice miglioramento dell’assistenza ai pazienti e dell’efficienza del sistema.
Orbene, tale sprone s’inserisce senza dubbio nel più ampio contesto della ricerca del miglioramento della qualità della vita dei cittadini nelle città, percorso del quale costituiscono esempio: (i) l’agenda 2030 varata dall’ONU, laddove uno dei traguardi indicati (e, precisamente, il n. 3) è quello di assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età, strutturalmente connesso con il traguardo n. 11 ovvero rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili; (ii) il c.d. “Green deal” varato dalla Commissione Europea proprio al fine di applicare l’agenda 2030 dell’ONU; (iii) l’agenda territoriale 2030 dell’Unione Europea, laddove il termine (rectius il concetto) di “well being” ricorre numerose volte quale fine ultimo della ricerca del benessere cittadino anche attraverso soluzioni volte a garantire la salubrità dell’ambiente urbano. Percorso che, peraltro, trova anche conforto nello stanziamento, all’interno della sesta missione (“Salute”) del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), di circa 18,5 miliardi di euro per rafforzare la presenza del sistema sanitario sul territorio (si consideri, a tal proposito, la possibilità per le amministrazioni locali di installare – in determinate aree urbane – dei sistemi di primo soccorso a tutela delle categorie di cittadini più fragili; si pensi anche ai dispositivi di rianimazione, che già risultano installati nelle vie di molte città italiane proprio al fine di garantire la disponibilità di tali strumenti nell’ipotesi in cui sia necessario un intervento tempestivo ed immediato).
Anche nell’ottica della pianificazione urbana della Smart city, quindi, la raccolta e l’analisi dei dati testé descritti consentirebbero all’ente locale di comprendere realmente le necessità sanitarie delle diverse aree cittadine ed approntare gli opportuni rimedi o adottare le soluzioni più idonee a garantire un migliore e più razionale presidio sanitario del territorio, ovvero indirizzare le scelte dell’amministrazione in modo più consapevole. Si pensi, a mero titolo esemplificativo, alla gestione del traffico veicolare e, in particolare, alla programmazione degli itinerari di emergenza, che ben si presta a costituire un ambito di applicazione dei dati e delle informazioni raccolte dalla Smart city sulla salute della popolazione. Non può non evidenziarsi, infatti, come un’amministrazione consapevole delle necessità (storiche ed attuali) sanitarie sia in grado di meglio contemperare gli interessi in gioco e strutturare la propria conformazione urbanistica e viabilità anche in funzione delle esigenze che emergono dalla gestione concreta e quotidiana delle emergenze. A ciò si aggiunga che, oltre ai dati sanitari dei cittadini, la raccolta e l’analisi (aggregata) delle (più generali) informazioni ambientali, climatiche, meteorologiche, ecc., consentirebbe all’amministrazione di verificare ed appurare in modo estremamente puntuale pure le condizioni ambientali della città e di tutelare in tal modo più efficacemente la (complessiva) salute e qualità della vita dei cittadini.
Per giungere a detti risultati, tuttavia, sarà necessario superare anzitutto i problemi che permeano (in primis) le pratiche di e-health, quali la riorganizzazione dei servizi sanitari, la (necessaria e prodromica) diffusione capillare dell’accesso alle tecnologie telematiche, il rischio che le pratiche sanitarie da remoto ledano il rapporto personale (e fiduciario) tra medico e paziente.