Un episodio forse dimenticato perché considerato “minore” ma tuttavia significativo avvenne alla Camera dei deputati nella seduta pomeridiana del 3 dicembre 1952. Il monarchico Caramia chiese la parola per commemorare l’ex regina d’Italia Elena di Savoia scomparsa in quelle ore. Seguirono, come di consueto in simili occasioni, i discorsi di rito: del democristiano Reggio d’Aci, di Ettore Viola (gruppo misto), del missino Guido Russo Perez, del missino già democristiano Latanza e, a titolo personale del liberale Saija. Tutti si riferirono alla defunta con espressioni che definire di venerazione è dir poco, sottolineandone le doti umane, la bontà, la mitezza e assolvendola – quando ritennero fosse il caso – dalle responsabilità istituzionali del marito Vittorio Emanuele rispetto al fascismo e alla guerra. Tutti: sinché non prese la parola per il Psi Riccardo Lombardi, che, pure associandosi al cordoglio, ruppe il clima della seduta pronunciando giudizi netti e severi sulla monarchia e sulla pretesa dei colleghi di destra di indicare nella ex regina il modello femminile per gli italiani (e, soprattutto, le italiane) del dopoguerra. Ne scaturì uno scontro aspro, tanto da costringere il presidente Gronchi a sospendere la seduta. Erano le 16.15. Si dovettero attendere le 18.15 perché gli animi si placassero e i lavori potessero riprendere, con un fervorino pacificatore di Gronchi. Di seguito il passaggio più polemico del breve discorso di Lombardi.
Onorevoli colleghi, nel compiangere la morte di questa signora, non possiamo e non intendiamo dimenticare nulla della responsabilità cui ella fu, forse inconsapevolmente, legata; cosicché sarebbe vano e non sarebbe giusto chiedere a noi di associarci al compianto per una donna, ove fosse assunta, non so per quale strano privilegio, a simbolo della donna italiana. No, onorevoli colleghi, non vi sono regine a simboleggiare le donne italiane, non vi sono corone effimere, caduche – e giustamente cadute – che possano supplire a quello che è il sentimento profondo delle donne italiane. Non possiamo ammettere che a simboleggiare la virtù, il dolore, il sacrificio delle donne italiane possa essere una regina. Per noi, è molto più semplice: a simboleggiare la donna italiana e la Repubblica italiana (e sembra utile ricordare che questo è il Parlamento della Repubblica italiana) non è Elena di Savoia, con tutti i sui meriti e tutti i suoi demeriti; ma è se mai un’altra donna: è Maria Margotti, la bracciante morta nell’affermazione e nella difesa non del passato che dovremmo dimenticare ma dell’avvenire di libertà e di giustizia per il popolo italiano (Applausi all’estrema sinistra)[1].
Atti Parlamentari Camera dei Deputati, Leg. I, Discussioni, seduta pomeridiana del 3 dicembre 1952, pp. 43998 ss. (43101-43102 per l’intervento di Riccardo Lombardi).
[1] Maria Margotti (nella foto), mondina, aveva partecipato attivamente alla Resistenza e nel 1946 era entrata a lavorare come operaia in una fornace prendendo parte alle lotte sindacali e per i diritti dei lavoratori. Nel maggio 1949 era a Molinella, dove avvennero durissimi scontri tra la polizia e i braccianti. Qui morì, falciata da una raffica di mitra, mentre altri trenta suoi compagni rimasero feriti.