Il German Marshall Fund of the United States (GMF) ha censito l’utilizzo del riconoscimento facciale da parte dei pubblici poteri in tutto il mondo e messo a confronto le regolazioni nazionali sull’uso di questa tecnologia così controversa. Ne esce un lavoro approfondito e completo che offre lo spunto per alcuni auspici.
Il German Marshall Fund of the United States (GMF) è una organizzazione politica apartitica nata negli anni Settanta del secolo scorso da una idea precisa, ovvero che gli Stati Uniti e l’Europa siano più forti se coesi. Tra i temi più rilevanti su cui lavora il GMF vi sono quelli inerenti ai principi democratici, ai diritti umani e alla cooperazione internazionale, che costituiscono il fondamento della pace e della prosperità dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi.
Il GMF si occupa anche di temi di grande attualità. Di recente ha pubblicato un Policy Brief intitolato “Facial Recognition in the Public Sector: The Policy Landscape” in cui vengono suggerite ai legislatori nazionali alcune strategie da seguire nella regolamentazione sull’uso pubblico del riconoscimento facciale nel rispetto dei diritti umani.
La tecnologia di riconoscimento facciale viene ormai ampiamente utilizzata nel settore pubblico per una ampia gamma di scopi. Le forze dell’ordine se ne servono per lo svolgimento delle indagini e per la sorveglianza dal vivo (di massa o mirata). L’identificazione di un volto è resa possibile dal fatto che le immagini ottenute dalle forze dell’ordine o da fonti private vengono confrontate con un database preesistente di immagini del viso. Molti database che vengono utilizzati per eseguire ricerche di riconoscimento facciale presentano tuttavia molteplici errori o sono fuorvianti (ne abbiamo parlato qui, qui e qui).
Nel settore dell’istruzione, le telecamere intelligenti sono installate agli ingressi e alle uscite degli edifici per controllare e monitorare l’accesso di studenti e visitatori. Questa tecnologia viene anche utilizzata per verificare la frequenza ai corsi, per valutare l’attenzione degli allievi o per monitorare i candidati in sede di esami scritti.
Il riconoscimento facciale viene anche utilizzato nei sistemi di trasporto pubblico (per scansionare i volti dei passeggeri, sostituendo così biglietti fisici o codici di biglietti digitali), negli edifici di edilizia residenziale pubblica o in sede di identificazione dei migranti.
I rischi associati all’uso della tecnologia di riconoscimento facciale nel settore pubblico sono noti: violazione della privacy, emersione di pregiudizi (in particolare di tipo etnico) e altre violazione di diritti umani e civili (ne abbiamo parlato qui). È per tale ragione che proprio negli ultimi anni i legislatori nazionali sono spesso intervenuti in materia. Gli approcci legislativi alla questione sono tuttavia i più diversi. Ciò emerge con chiarezza dal Policy Brief del GMF che ne fa un accurato censimento.
La crescente preoccupazione dell’opinione pubblica e le prove di cattivo funzionamento della tecnologia in questione hanno indotto alcuni Stati a vietarne l’uso. I divieti sono in alcuni casi permanenti, in altri solo temporanei. Queste misure possono poi essere incondizionate (quindi applicabili a tutti gli usi governativi) o settoriali (quindi limitate a usi specifici). In questa direzione si sono mosse ad esempio San Francisco nel 2019 e Boston nel 2020 che hanno vietato in toto l’uso della tecnologia da parte di funzionari pubblici.
Nella maggior parte dei casi (dati gli indubbi vantaggi di questa tecnologia) gli Stati hanno posto requisiti d’uso per il riconoscimento facciale e meccanismi di supervisione che possono mitigarne l’abuso, l’uso improprio o gli esiti dannosi (ne abbiamo parlato qui, qui e qui). La legislazione dello Utah prevede, ad esempio, che solo il Dipartimento di Pubblica Sicurezza sia autorizzato a utilizzare il riconoscimento facciale e impone al medesimo di riferire annualmente sul tipo di crimini per i quali la tecnologia è stata utilizzata. Nel Regno Unito, la polizia metropolitana di Londra è tenuta a pubblicare online dove verrà utilizzato il riconoscimento facciale prima del suo dispiegamento e a posizionare cartelli all’interno e intorno alle aree in cui viene utilizzata la tecnologia (ne abbiamo parlato qui).
Lo studio approfondito svolto dal GMF è utile per due motivi. In primo luogo, esso mostra come gli approcci regolatori dei vari Stati siano molto differenti tra di loro. Di più. Esso svela come molti Stati non abbiano ancora provveduto a regolare l’uso di questa tecnologia con grave pericolo per i diritti umani e le libertà civili. In secondo luogo, il Policy Brief del GMF è utile perché costituisce un’ottima base su cui i regolatori nazionali possono riflettere sia per colmare eventuali vuoti normativi, sia per dialogare in vista di una auspicabile armonizzazione delle discipline.
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