Il Parlamento europeo e il Consiglio hanno da pochi mesi raggiunto un accordo sul Digital Markets Act, il nuovo regolamento volto a disciplinare l’attività dei gestori delle piattaforme digitali (come Google o Facebook) per prevenire gli abusi delle relative posizioni dominanti nel settore digitale e altre distorsioni del mercato. La disciplina in parola aggiorna e supera, di fatto, quella previamente dettata dalla direttiva 2000/31/CE in materia di commercio elettronico, eccessivamente risalente e non adatta all’attuale stato di progresso degli strumenti tecnologici digitali.
La recente attenzione dell’Unione europea all’attività svolta dalle cosiddette big tech trova giustificazione nell’incontrollata espansione di quelle aziende leader del settore della tecnologia digitale – come Google, Apple, Facebook, Amazon and Microsoft (dette anche gafam) e altre ancora – tale da aver raggiunto i vertici del mercato mondiale in termini di capitalizzazione, superando perfino i settori del petrolio, del gas e dei servizi finanziari. L’attuale situazione di mercato è stata altresì agevolata dall’emergenza epidemiologica da Covid-19 nel corso della quale la quasi totalità delle attività comuni si sono trasferite in spazi digitali online. Ciò nondimeno, la presenza dominante di tali imprese nei mercati digitali rischia di tradursi in un abuso della loro posizione a scapito dei rispettivi competitors e della libertà di scelta dei consumatori (degli spazi digitali orientati al rispetto della privacy, ne abbiamo parlato qui su questo Osservatorio).
Per limitare tali forme di abusi, il 15 dicembre 2021 il Parlamento europeo ha dato avvio alle negoziazioni con il Consiglio per introdurre nuove regole e obblighi nei confronti degli operatori dei mercati digitali, contenuti dalla proposta di regolamento Digital Markets Act (da ora anche DMA) – pubblicata contestualmente al Digital Services Act che prevede una protezione più efficace dei consumatori e dei loro diritti online. Inoltre, il 24 marzo 2022 è stato raggiunto l’accordo tra Consiglio e Parlamento sui contenuti del regolamento proposto, ma per poter entrare in vigore dovrà essere approvato formalmente da entrambi.
Come precisato nella Relazione presentata congiuntamente dal Parlamento e dal Consiglio europei, «le pratiche sleali e la mancanza di contendibilità creano inefficienze nel settore digitale in termini di prezzi più alti, qualità inferiore, minore scelta e minore innovazione, a scapito dei consumatori europei» (p. 1). In particolare, la proposta sembrerebbe perseguire due obiettivi: da un lato, quello di garantire che i mercati digitali in cui operano i gatekeeper siano e rimangano contendibili (cons. 6 e 8); dall’altro, di promuovere l’equità all’interno di questi mercati (cons. 4 e 5). Il fine del regolamento proposto è dunque quello di favorire il pieno sviluppo delle potenzialità delle piattaforme digitali affrontando a livello dell’Ue le principali ripercussioni delle pratiche sleali e della scarsa contendibilità in tali mercati.
Si tratta di una disciplina che potrebbe incidere fortemente sull’attuale regime concorrenziale poiché, invece di mantenere la logica, la struttura e l’approccio degli articoli 101 e 102 TFUE, il DMA introduce una regolazione ad hoc. È stato adottato un quadro normativo semi-flessibile che prevede: un elenco chiuso di servizi di piattaforma di base; una combinazione di criteri quantitativi e qualitativi per designare i fornitori di servizi di piattaforma di base come gatekeeper; degli obblighi direttamente applicabili, oltre ad altri la cui attuazione può essere agevolata tramite un dialogo normativo; infine, la possibilità per la Commissione europea di aggiornare tanto gli obblighi dei gatekeeper elenco i servizi di piattaforma di base attraverso di un’indagine di mercato.
Orbene, la proposta di DMA stabilisce ampi margini entro i quali la Commissione può definire le imprese che sono soggette alle norme ivi contenute. Una volta che un provider di una piattaforma digitale è stato individuato come gatekeeper da parte della Commissione europea, diviene immediatamente soggetto agli obblighi circa le condotte che sono tenuti ad adottare quando interagiscono con gli utenti, precisati negli articoli 5 e 6 della proposta di regolamento DMA. Più precisamente, gli obblighi elencati nell’art. 5, che sono self-executing, differiscono da quelli esplicitati dall’art. 6, i quali sono invece suscettibili di ulteriori precisazioni. In linea generale, si tratta di obblighi che mirano a incoraggiare l’abbassamento delle barriere all’ingresso nei mercati digitali (ne abbiamo parlato qui con riguardo alle iniziative messe in atto negli Stati Uniti) e alla trasparenza.
La nuova regolamentazione dei mercati digitali sembrerebbe slegata dai limiti giuridici ed economici che derivano dalla normativa antitrust europea. Se l’indagine di mercato dimostra che il gatekeeper ha violato sistematicamente gli obblighi sanciti dagli articoli 5 e 6, il DMA attribuisce alla Commissione europea il potere di imporre a tale operatore economico, entro dodici mesi dall’avvio dell’indagine di mercato, «qualsiasi rimedio comportamentale o strutturale proporzionato alla violazione commessa e necessario per garantire il rispetto del presente regolamento» (art. 16). Per poter intervenire, la Commissione europea deve condurre due accertamenti: da un lato, verificare se l’impresa possa definirsi gatekeepers (art. 3); dall’altro, il mancato rispetto degli obblighi positivi di cui agli artt. 5 e 6. Ne deriva un regime d’intervento eccessivamente flessibile che potrebbe indurre la Commissione ad essere influenzata dalle pressioni del mercato.
Il quadro normativo adottato per la regolazione dei mercati digitali solleva alcuni interrogativi sulla potenziale efficacia della proposta legislativa. L’introduzione di obblighi il cui rispetto deve essere scrutinato ex ante dovrebbe consentire al DMA di incentivare dei cambiamenti più rapidi nella condotta delle imprese, evitando così le tempistiche eccessivamente dilatate dei procedimenti di applicazione della legge sulla concorrenza. Tuttavia, una normativa che prevede delle valutazioni ex ante basate su criteri e requisiti esplicitati in modo non sufficiente chiaro rischia di produrre l’effetto di incrementare il contenzioso e soprattutto di non contribuire a rendere i mercati digitali più equi e trasparenti. Sebbene la regolazione del mercato ex ante imponga degli obblighi positivi (ad esempio, di possedere determinati requisiti per poter svolgere certe attività), quella ex post precisa, di converso, quali sono le condotte vietate. In questa logica, la regolazione ex ante si pone in una prospettiva di prevenzione delle cause dei fallimenti di mercato.
Dunque, il DMA sembrerebbe essere stato predisposto con l’intento di completare il quadro normativo antitrust europeo e nazionale rispetto ai mercati digitali, rischiando tuttavia di sovrapporsi alle norme già in vigore. Le intersezioni che ne derivano si ravvisano soprattutto nel tentativo di trasformare alcuni obblighi concorrenziali, che vengono applicati ex post, in norme normative ex ante automaticamente applicabili.
Invero, il DMA differisce rispetto alla tradizionale regolazione ex ante in quanto non si applica a tutte le imprese che operano in un determinato settore ma piuttosto a un particolare gruppo di entità che hanno in comune non il settore merceologico del digitale, ma la dimensione dell’attività commerciale e l’importanza economica che riveste. Sarà la Commissione europea che, attraverso un’apposita indagine di mercato, dovrà valutare la presenza o meno dei requisiti di cui all’art. 3 della proposta di regolamento per l’attribuzione della qualifica di gatekeeper.
Nell’ambito di siffatta istruttoria sembrerebbero escluse le autorità nazionali, le quali non possono adottare «decisioni che siano in contrasto con una decisione adottata dalla Commissione a norma del presente regolamento» (art. 1, par. 7). Giova osservare che il contenuto della disposizione da ultimo richiamata è il frutto di una consultazione pubblica da cui è emersa l’esigenza di consentire alla Commissione l’intervento nei mercati in cui sono presenti i gatekeeper, ancorché ciò sia già previsto – rischiando di sovrapporsi – qualora il comportamento di un gatekeeper contravvenga all’art. 102 TFUE. La Commissione ha giustificato l’inserimento di questo ulteriore previsione normativa in ragione del rilievo per cui non tutti i gatekeeper detengono necessariamente una posizione dominante, col rischio di eludere l’applicazione dell’art. 102 TFUE.
Ciò nondimeno, nonostante la regolamentazione ex ante fornisca maggiore certezza agli operatori economici assoggettati all’applicazione della regolamentazione rispetto all’intervento ex post, la prima risulta meno flessibile rispetto all’applicazione della legge sulla concorrenza che viene condotta “caso per caso”. Difatti, l’analisi “caso per caso” conduce a valutazioni più accurate rispetto alle prescrizioni ex ante le quali, di converso, non comportano un’analisi puntuale su di una pratica commerciale nello specifico. Rispetto ai mercati digitali sembrerebbe, pertanto, che l’attenzione si sia spostata dalla pratica commerciale scorretta al soggetto che l’ha posta in essere, rischiando di vanificare l’effetto di prevenzione auspicato.
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