Il processo di digitalizzazione dei servizi pubblici è una delle tante ‘vittime’ innocenti dell’emergenza sanitaria globale causata dal Covid-19. Le misure di contenimento della pandemia adottate dai governi di tutto il mondo hanno costretto le pubbliche amministrazioni ad accelerare la transizione digitale delle interazioni con cittadini e imprese – talora anche forzando la mano, con risultati non sempre all’altezza delle aspettative. Al tempo stesso, alcuni problemi preesistenti, ancora privi di soluzione, si sono acuiti: la tutela della sfera privata degli individui, per citarne uno. Il Dipartimento Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite ha catalogato 500 iniziative di e-governance da tutto il mondo, provando a fare il punto su cosa ha funzionato; cosa, invece, ha deluso le attese; e cosa, infine, andrebbe migliorato.
Quali e quante iniziative legate alla digitalizzazione dei servizi pubblici sono nate sulla scorta dell’emergenza sanitaria globale scoppiata a Marzo 2020 – e quante tra queste sono tuttora in corso? Soprattutto: quante hanno prodotto gli effetti sperati?
Negli ultimi mesi diversi analisti hanno provato a dare risposta a queste domande. Tra questi, ad esempio, i rapporti a tema curati dal centro studi del Parlamento europeo. Gli analisti politici del Parlamento hanno esaminato in particolare la reazione delle istituzioni europee (ne abbiamo parlato qui e qui) e quelle promosse dagli Stati Membri dell’Unione. Interessanti anche le raccomandazioni diffuse dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, attente soprattutto a sottolineare l’importanza dell’applicazione dei principi di good governance alle nuove procedure decisionali digitali. Numerose, infine, le analisi pubblicate dalla Banca Mondiale.
Si aggiunge ora alla lista una nuova organizzazione internazionale, le Nazioni Unite. Il Dipartimento Affari Economici e Sociali dell’organizzazione a Settembre 2020 ha pubblicato un compendio delle principali iniziative digitali promosse dai governi di tutto il mondo a seguito dello scoppio della pandemia. Si tratta di un lavoro imponente: il compendio prende in esame 500 iniziative di e-governance. Il lavoro ha una funzione prevalentemente compilativa, senza pretese di giudicare approfonditamente il funzionamento dei casi censiti. La lettura di questi, tuttavia, consente di fare il punto separando le iniziative che sembrano aver funzionato da quelle che, invece, hanno deluso le attese; oltre ad aprire una riflessione più ampia su come migliorare la transizione digitale dei servizi pubblici, quando l’emergenza sanitaria sarà conclusa.
Il compendio classifica le iniziative in otto macro aree – nell’ordine: information sharing, E-participation, E-Health, E-business, Contact Tracing, Social Distancing and Virus Tracking, Working and Learning from Home, Digital Policy, Partnerships – e per ciascuna offre una breve descrizione, oltre alle indicazioni essenziali: a quale struttura pubblica fa capo l’iniziativa e quale genere di tecnologia (nel senso più ampio del termine: da sofisticate applicazioni mobili fino ai siti web delle amministrazioni) è stato utilizzato.
Guardiamo brevemente alcuni dati sulle aree più interessanti, iniziando con l’information-sharing. Al 25 Marzo 2020, il 57% delle amministrazioni degli Stati Membri delle Nazioni Unite aveva un portale informativo dedicato alla pandemia. Ad aprile 2020 il numero era salito all’86% – pari a 167 Paesi membri UN. A maggio, la quasi totalità (97,5%) delle amministrazioni aveva provveduto alla creazione di un portale online dedicato al Covid-19. Il livello di innovazione promosso dai governi è estremamente vario. Molti esecutivi hanno optato per l’ipotesi più semplice: siti web contenenti le informazioni essenziali sulla prevenzione e sulle regole in vigore. Altri hanno sperimentato la creazione di applicazioni mobili (la Colombia è tra questi) oppure hanno attivato servizi di messaggistica istantanea per contenere la diffusione di informazioni erronee (è il caso del Brasile). Alcuni esecutivi, infine, hanno sviluppato chatbot per offrire informazioni all’utenza. Tra questi c’è la Francia.
La lista di iniziative digitali per incentivare la partecipazione dei cittadini è nutrita e – anche in questo caso – varia negli approcci. Vediamone alcuni. Molti governi hanno ‘declinato’ la partecipazione in funzione della raccolta di fondi. Tra questi, la Macedonia del Nord, l’Arabia Saudita e Singapore. Oltre alla raccolta fondi, le campagne digitali hanno riguardato anche il reclutamento di volontari per svolgere azioni di supporto alle strutture pubbliche (l’assistenza degli anziani a rischio, ad esempio). È il caso della Serbia. Diversi governi, poi, hanno cercato di raccogliere idee e proposte da parte delle imprese su come innovare le tecnologie in uso. Per farlo sono ricordi allo strumento delle hackathon – vere e proprie maratone nel corso delle quali i partecipanti sono chiamati a collaborare alla soluzione di un problema. Meritevoli di nota, al riguardo, gli esempi di Italia e Austria.
Alle imprese si sono rivolte anche le iniziative pensate per snellire il carico burocratico e agevolare gli adempimenti online, che nel compendio prendono il nome di E-business. Il Canada, ad esempio, ha attivato un portale per l’incontro tra domanda e offerta relative alla gestione della crisi sanitaria. In alcuni casi la pandemia ha consentito ai governi di agevolare la diffusione di servizi digitali fino a prima poco utilizzati, come nel caso di Cuba e Indonesia – che hanno attivato portali per la spesa e consegna di alimenti a domicilio.
Un cenno, infine, alle iniziative di contact tracing (di cui ci siamo già occupati Qui e Qui – Qui per quanto riguarda i profili di tutela sanitaria) Al riguardo, il compendio nota due cose interessanti. La prima riguarda l’evoluzione delle applicazioni per il tracciamento. Inizialmente lo scopo era prevalentemente quello di limitare gli spostamenti individuali. È il caso del governo malese, che ha creato un’applicazione mobile con una funzione per rilasciare il permesso a viaggiare fuori dai confini nazionali. In un secondo momento le applicazioni hanno assolto una funzione diversa: tracciare gli spostamenti, per individuare focolai di infezione. La maggior parte delle applicazioni in uso attualmente è stata pensata a questo scopo. L’altro aspetto notato dal compendio è che la gran parte delle applicazioni di tracciamento ha dovuto fare i conti con le norme in vigore sulla riservatezza dei dati personali (tema di cui ci siamo occupati Qui). In alcuni casi è stato necessario adeguare la tecnologia alle norme in vigore (come nel caso europeo con il General Data Protection Regulation). In altri casi – tra questi Armenia e Ukraina – è stato invece necessario intervenire sulla legislazione in vigore per creare le condizioni affinché gli operatori potessero prelevare e condividere i dati di geo-localizzazione.
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