L’irresistibile scalata dei ragionieri ai vertici dello Stato unitario conobbe in realtà vari passaggi storici e incontrò nel suo cammino più di un ostacolo.
Al principio la legge Cambray-Digny (1869) instaurò per la prima volta il sistema delle ragionerie: tante (dette “centrali”) in ogni ministero e una sola (detta “generale”) presso l’allora Ministero delle finanze.
Furono così aboliti i vecchi e inefficienti uffici di contabilità, uno per ogni dicastero, e fu creata in nuce quella che sarebbe stata una vera e propria amministrazione del controllo. Le ragionerie centrali, pur dipendendo ancora dai loro singoli ministri, dovevano sottoporre i risultati mensili delle loro specifiche rilevazioni al vaglio della Ragioneria generale, cui spettava di formare il bilancio di verificazione e di compilare la situazione dei conti nel suo libro mastro e nei libri ausiliari, naturalmente conformi ai risultati trasmessi dalle ragionerie centrali.
La complessità del sistema ricevette subito forti critiche e anche consistenti opposizioni nei ministeri. Il ragioniere generale dell’epoca, il toscano Giovanni Cerboni, impose per di più (nel 1877) l’adozione del cosiddetto metodo logismografico, che risultò foriero di ulteriori e gravi complicazioni. Cerboni uscì di scena nel 1891, e il suo metodo logismografico non gli sopravvisse: tuttavia restava un’organizzazione ancora embrionale delle ragionerie. Quintino Sella, dando attuazione alla legge del 1869, non aveva previsto il diploma specifico per le dirigenze né organizzato carriere e ruoli separati dal resto dell’amministrazione. Ciò significava che si poteva essere promosso a capo della ragioneria anche senza avere il diploma di ragioniere.
In una situazione ancora fluida, dopo oltre 30 anni, intervenne finalmente la legge n. 327 del 18 luglio 1906, sull’esercizio della professione di ragioniere, nella quale venne stabilito che l’esercizio pubblico dell’attività di ragioniere spettava unicamente agli iscritti ai Collegi omonimi.
Ciò era anche il frutto di una spinta esterna delle associazioni dei ragionieri privati fattasi nel frattempo molto influente, ma corrispondeva certamente a una necessità reale dell’amministrazione: quella di avere degli specialisti dei conti. Come si può leggere in questo brano tratto dalla influente “Rivista dei ragionieri”.
Da molti e molti anni i vari programmi di esame per i concorsi alla carriera di ragioneria dei vari Ministeri consacrano la necessità che gli aspiranti conoscano particolarmente diritto pubblico e privato, economia e finanze, ragioneria generale e contabilità pubblica; ma, con una logica a rovescio, gran parte dei Ministeri chiama a concorso persone i cui attestati dimostrano ufficialmente che mai ebbero ad occuparsi di tali materie, quali sono i licenziati liceali, o i licenziati delle sezioni di matematica o agrimensura degli istituti tecnici. Si affida a un puro e semplice esamino la constatazione delle idoneità in materie mai studiate.
(…). Il Parlamento, colla legge 15 luglio 1906 sulla professione pubblica di ragioniere ha, fin dal primo articolo, consacrato il principio che ormai la Ragioneria spetta ai Ragionieri. E sarà proprio il Governo a non muoversi, a non riformare i suoi regolamenti per i concorsi agli uffici di ragioneria nelle sue amministrazioni, in guisa da metterli finalmente in relazione col principio proclamato dal legislatore, che segna la vittoria del buon senso e la scelta della miglior via nel pubblico interesse?
La Direzione, La Ragioneria nei Ministeri, in “Rivista dei ragionieri”, serie II, a. IV, n. 4, 30 aprile 1906, pp. 170-171.