Il Tar del Lazio, nell’ambito di un giudizio avente a oggetto l’assoggettamento delle monete virtuali alla tassazione applicabile agli strumenti finanziari, ha chiarito che non esiste una definizione univoca di cripto valute, assumendo rilievo esclusivamente le operazioni che attraverso tali strumenti sono poste in essere.
La prima sezione del Tribunale Amministrativo per la Regione Lazio con la sentenza del 28.1.2020, n. 1077 ha considerato legittima l’assimilazione da parte dell’Agenzia delle entrate delle cripto-valute o monete digitali alle attività finanziarie e il conseguente assoggettamento all’imposizione fiscale prevista per queste ultime.
In particolare e per quanto d’interesse, i Giudici amministrativi dopo aver esaminato le diverse ricostruzioni elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza in ordine alla natura giuridica delle monete virtuali ha chiarito che non è possibile individuare una qualificazione univoca delle cripto-valute, assumendo rilievo esclusivamente le operazioni che attraverso tali strumenti sono poste in essere.
Innanzitutto, il Tar Lazio ha escluso la possibilità di configurare le cripto-valute alla stregua di moneta, anche solo convenzionali, in quanto inidonee ad assolvere alle funzioni tipiche di unità di conto e riserva di valore, in ragione della loro estrema volatilità e della mancanza di valore legale liberatorio ai fini del pagamento.
In secondo luogo, i Giudici amministrativi hanno escluso anche che le cripto-valute possano essere considerati dei meri strumenti di scambio, essendo sussumibili nella nozione di beni immateriali suscettibili di formare oggetto di diritti reali ed obbligatori, ovvero di strumenti finanziari, stante la componente di “riserva di valore” e la finalità d’investimento delle medesime.
Del resto secondo il Tar Lazio la molteplice natura delle cripto-valute trova conferma nei recenti interventi normativi (il d.lgs. n. 90/2017 e la Direttiva 2018/843/UE), secondo i quali la moneta elettronica è una “rappresentazione digitale di valore […] utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”.
La moneta elettronica, dunque, non è qualificabile quale mero “mezzo di scambio”, ma è uno strumento attraverso il quale si compiono operazioni di “acquisto di beni e servizi”, oppure “finalità d’investimento”. Secondo i giudici amministrativi, dunque, la definizione di moneta elettronica è duttile, in quanto attraverso tali rappresentazioni digitali di valori è possibile veicolare più tipologie di operazioni e scambi.
Alla stregua della predetta definizione “funzionale”, dunque, non è la valuta virtuale di per sé ad assumere rilievo, essendo uno strumento meramente rappresentativo di valori riconosciuti (in virtù di un riconoscimento pattizio e volontario dei soggetti che le utilizzano), bensì il loro impiego e la loro utilizzazione entro il novero delle diverse operazioni possibili.
In conclusione, il Tar Lazio ha accertato la legittimità dei provvedimenti dell’Agenzia delle Entrate con i quali il trattamento fiscale dell’uso della moneta elettronica è stato ricondotto all’art. 67 del D.P.R. n. 917/1986.
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