Con un ritardo di un mese giunge in Parlamento il disegno di legge di bilancio per il triennio 2021 – 2023. I tempi stretti per l’approvazione parlamentare costringeranno a sperimentare di nuovo il «monocameralismo alternato» (questa volta, la Camera discute, il Senato ratifica). Il disegno di legge contiene la settima manovra economica di questo anno molto particolare. È stato preceduto dai decreti legge «Cura Italia», «Liquidità», «Rilancio» I e II, «Ristoro» I e II (l’ultimo ancora in via di conversione in legge, accompagnato da quasi 3 mila emendamenti), per un valore di un terzo circa dell’ordinario bilancio statale italiano.
Le misure contenute in questi decreti legge, insieme con la contrazione del Prodotto interno lordo, porteranno il debito pubblico dal 134,6 al 159,6 per cento del Prodotto stesso nel 2020. Seguirà, subito dopo, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, per l’utilizzo dei quasi 200 miliardi di prestiti e di trasferimenti del «Recovery fund». Infine, altri decreti legge di sussidi sono annunciati come prossimi.
Questo accavallarsi di provvedimenti, in larga misura imposto dalle circostanze, ha richiesto votazioni parlamentari a maggioranza assoluta per ottenere l’autorizzazione ad aumentare il deficit (scostamento di bilancio).
Dalla Seconda guerra mondiale, mai l’Italia si è trovata in tante difficoltà finanziarie, ma mai si è potuta giovare di tanti provvidenziali interventi dall’estero. Sarà, infatti, tra i maggiori beneficiari di fondi europei ed è stata autorizzata, insieme ad altri Paesi, a deviare temporaneamente dal suo percorso di aggiustamento fiscale.
Purtroppo, però, questa legge di bilancio è il solito provvedimento «omnibus» (229 articoli), in cui c’è di tutto, comprese misure che hanno ben poche relazioni con la manovra finanziaria e che sono in contrasto con il divieto di inserire nel bilancio norme ordinamentali e settoriali.
Continua a leggere l’editoriale di Sabino Cassese, pubblicato il 20 novembre sul Corriere della Sera.