La (non) democrazia del trojan

Comincio da quelli che appaiono passi avanti, da giudicare positivamente: la gestione da parte delle Procure, con più limiti per la polizia giudiziaria; la limitazione alla verbalizzazione dei dati personali sensibili. Anche però nel primo passo avanti bisogna segnalare un problema.

In presenza di processi nei quali sono captate decine di migliaia di telefonate, come può il pubblico ministero verificare personalmente il contenuto di tutte le intercettazioni? Il ruolo della polizia, quindi, di fatto, rimane molto rilevante.

Non c’è dubbio che l’intero sistema delle intercettazioni sia da rivedere.

Innanzitutto, perché sono prive di riscontri, essendosi passati da più riscontri investigativi e raccolte di prove a un solo o prevalente sistema di investigazione e di raccolta delle prove (una tendenza che è accentuata dalla facilità con cui vengono installati i captatori informatici o trojan e dall’ampliamento che essi consentono della raccolta di notizie).

In secondo luogo, perché ci si avvia a metter in piedi un apparato complesso: si legge di 60 milioni di euro, di 140 sale, di 700 strutture, di 1.100 computer e di 3.500 addetti. Sono tutte cifre da controllare, ma fanno pensare alla Stasi.

Continua a leggere l’intervista a Sabino Cassese pubblicata su formiche.net.