La pandemia ha costretto anche i sistemi giudiziari ad avvalersi delle piattaforme informatiche per adattarsi con una rapidità senza precedenti alla situazione d’emergenza. L’uso della tecnologia ha stravolto – in alcuni Stati, quali Francia, Inghilterra e Stati Uniti d’America -, sia il modo di gestire l’attività processuale che il modo di esercitare la professione forense, tanto da indurre giudici e avvocati ad affermare che la virtual justice sia il cambiamento di cui i tribunali avevano bisogno. Nel presente post ci concentreremo sull’esperienza dei tribunali degli USA: infatti, nonostante solo nell’ultimo anno abbiano condotto milioni di udienze tramite Zoom, sono ancora molti i rischi che un tale cambiamento può arrecare alla tutela del diritto di difesa delle parti.
Di fronte all’emergenza Covid-19, anche per il sistema giudiziario si è avvertita l’esigenza di aumentare l’uso di strumenti telematici per mantenere l’accesso alla giustizia e garantire al contempo la sicurezza degli utenti, del pubblico e del personale dei tribunali.
In molti Stati, tra i quali Francia, Inghilterra e Stati Uniti d’America, è stato straordinario il modo in cui i tribunali sono riusciti a far fronte alla pandemia, spostandosi sulle piattaforme informatiche ad una velocità che ha stupito e, talvolta allarmato, giudici, procuratori e avvocati. Anche l’Italia ha adottato diverse misure per digitalizzare l’attività giudiziaria (per un approfondimento sul processo amministrativo nel periodo dell’emergenza, si veda qui e qui su questo Osservatorio).
Negli USA, in particolare, come riportato da The Atlantic, nell’ultimo anno i tribunali hanno condotto milioni di udienze, deposizioni, arringhe, conciliazioni e persino interi processi – di cause civili o per reati minori – attraverso la piattaforma Zoom. Solo il Texas, ad esempio, alla fine di febbraio 2021 ha tenuto 1,1 milioni di procedimenti a distanza.
Sembrerebbe, dunque, che l’attività giurisdizionale negli USA, esercitata tramite piattaforme informatiche (tra le più utilizzate: Zoom, Skype for Business, Microsoft Teams o Cisco Webex), stia cambiando sia il modo di gestire l’attività processuale che il modo di esercitare la professione forense.
La “giustizia virtuale” è diventata non solo una risposta a una situazione emergenziale, ma anche una soluzione che – per molti – dovrebbe essere adottata in via permanente, per i vantaggi che ne derivano: semplificazione e accelerazione dei procedimenti.
“La pandemia da Covid-19 non è la perturbazione che i tribunali volevano, ma è la perturbazione di cui i tribunali avevano bisogno”: con questo messaggio, la Conferenza dei Capi dei giudici e la Conferenza degli amministratori dei tribunali degli USA hanno approvato congiuntamente sei “Principi guida per la tecnologia dei tribunali post-pandemia”.
Anche la Presidente della Corte Suprema del Michigan, Bridget Mary McCormack, ha sottolineato come l’utilizzo di tale strumentazione non aumenterebbe solo l’efficacia in termini di velocità, ma renderebbe i tribunali più sicuri e più trasparenti, accessibili e convenienti.
Si pensi alle parti, ai testimoni o ai giurati che non perderebbero ore di lavoro, oppure agli avvocati che, in caso di più udienze in tribunali diversi possono prenderne parte con un semplice “swipe up” sul proprio smartphone.
La tecnologia, dunque, offre un’opportunità unica ai tribunali di assicurare che tutte le parti di una controversia – indipendentemente dalla razza, dall’etnia, dal sesso, dalla disabilità, dallo stato socioeconomico o dal fatto che siano auto-rappresentate – abbiano l’opportunità di partecipare in modo significativo ai processi giudiziari.
Tuttavia, ci sono altrettante buone ragioni per essere cauti nel muoversi verso questa direzione.
Risulta, infatti, necessario bilanciare le esigenze di dematerializzazione dei procedimenti con la tutela del diritto di difesa delle parti.
In America, si stima che 42 milioni di persone vivano al di fuori della portata del servizio a banda larga, e non tutti potrebbero essere in grado di avere concrete possibilità di accesso ai sistemi informatici o saperli utilizzare.
Nonostante i tribunali abbiano anche cercato di affrontare il divario digitale installando chioschi per utilizzare Zoom, prestando tablet ai giurati o permettendo agli imputati di accedere alle biblioteche per collegarsi, si dovrebbe riflettere su alcuni aspetti più concreti.
Non bisogna, infatti, sottovalutare i problemi tecnici che possono sorgere durante una videoconferenza: cosa succede se la connessione non è stabile? O se vi sono rumori di sottofondo nel momento in cui il giudice pronuncia la sentenza con cui definisce il giudizio?
Da risolvere vi sarebbe anche il cd. Zoom-bombing. Tale pratica si riferisce ai casi in cui qualcuno non invitato entri nella riunione virtuale arrecando disturbo con messaggi inappropriati, pornografici, razzisti e offensivi (per un approfondimento sui rischi connessi all’utilizzo di Zoom, si veda qui su questo Osservatorio). Sarebbe necessario, dunque, adottare piani di emergenza per assicurare la stabilità delle operazioni giudiziarie durante gli attacchi hacker, oppure in caso vi siano interruzioni di corrente o disastri naturali.
Un ulteriore fattore da considerare è il live-stream: lo scorso anno, solo i tribunali del Michigan hanno attirato quasi 60.000 cittadini ad abbonarsi a YouTube. Emblematico è il caso di un avvocato texano, Rod Ponton, che mentre prendeva parte ad un’udienza del 394° Tribunale distrettuale, aveva dimenticato di disattivare il filtro da gatto al momento del suo accesso sulla piattaforma Zoom, attirando l’attenzione di migliaia di spettatori.
Lo streaming, infatti, seppur in un primo momento soddisfaceva il requisito costituzionale della pubblicità dei processi, ad oggi solleva il rischio che momenti molto privati possano essere registrati e fare il giro del web. Si pensi alle udienze per reati di violenza domestica o su minori: la consapevolezza di poter essere ascoltati da un numero indeterminato di persone non esercita una pressione sulle vittime?
In ultimo, non può non essere considerata l’importanza della presenza fisica. Nel rispetto del principio del contraddittorio, il confronto è sempre stato faccia a faccia in quanto la credibilità dei sospettati e dei testimoni viene valutata anche attraverso l’atteggiamento e il linguaggio del corpo. La giustizia virtuale, invece, impone una distanza emotiva e percettiva con effetti che facilitano la possibilità di mentire per i testimoni o compromettere la decisione del giudice o della giuria.
In conclusione, la tecnologia ha giocato un ruolo critico nella risposta dei tribunali alla pandemia. Sicuramente il sistema giudiziario americano non deve lasciarsi alle spalle i progressi tecnologici sin ora fatti, ma riflettendo su un mondo post-pandemia, non sarebbe meglio considerare lo svolgimento da remoto solo per tutte le attività che non necessitano della presenza fisica delle parti?
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