La digitalizzazione nel Codice dei contratti pubblici a quattro mesi dalla sua operatività: ancora problemi in vista.

Il Codice dei contratti pubblici innova la digitalizzazione delle commesse pubbliche in Italia. Nonostante i primi dati siano promettenti, con oltre 1,65 milioni di procedure e 100 miliardi di euro coinvolti, persistono diversi problemi, tra cui la limitata interoperabilità delle piattaforme e la gestione (in)efficace dei dati da parte delle amministrazioni. Ciò sta frustando il futuro successo dell’impianto che, inevitabilmente, dipenderà dall’adozione di infrastrutture tecnologiche avanzate e dal potenziamento delle competenze delle amministrazioni pubbliche.

 

Sulla base di quanto pubblicato sul sito dell’Anac in data 20 maggio 2024, si possono trarre le prime considerazioni in merito al cambiamento operato dal Codice dei contratti pubblici (D.lgs. 31 marzo 2023, n. 36) in tema di digitalizzazione della commessa pubblica che, entrata ufficialmente in vigore dal 1° gennaio del 2024, si appresta ad essere la vera grande sfida dei prossimi anni, potendo contribuire alla crescita e allo slancio definitivo di tutto il sistema Paese.

Il Codice innova il comparto digitale del settore, disciplinando – nella parte seconda del libro primo – la digitalizzazione dell’intero ciclo di vita del contratto pubblico.

Nella pratica, tale sostanziale innovazione si pone l’obiettivo di ripensare complessivamente il sistema globale di e-procurement, funzionale a una compiuta digitalizzazione delle procedure di gara. In tal senso, sono state condotte attività di analisi volte a comprendere lo stato dell’arte e la qualità dell’attuale esperienza della pubblica amministrazione. Notevoli erano state le problematiche riscontrate, riconducibili ai seguenti fattori: principalmente, alla gestione delle infrastrutture concernenti il processo di e-procurement; la struttura e le caratteristiche centrali di alcune piattaforme usate per la gestione degli appalti; oltre che alle esperienze dedotte dagli utenti, da intendersi quali attori principali coinvolti nel processo (pubbliche amministrazioni e operatori economici).

A partire dal gennaio del corrente anno, dunque, le disposizioni si pongono come fine ultimo, in linea con quanto previsto dal PNRR, la digitalizzazione dell’intera procedura dei contratti pubblici, accompagnandola con una serie di riforme strutturali. Queste ultime coinvolgono l’acquisizione di dati e la creazione di documenti nativi digitali, da realizzarsi tramite piattaforme ad hoc, rendendo per tal via possibile la stretta correlazione con le banche dati esistenti e permettendo un arricchimento delle stesse a valle delle singole procedure espletate (come fatto in Germania: per l’Osservatorio, ne ha scritto Cristina Fraenkel-Haeberle sullo stato dell’arte della digitalizzazione degli appalti pubblici).

Senza pretese di esaustività, preme evidenziare quali sono stati i successi e quali le criticità riscontrate (peraltro, ampiamente pronosticate dagli esperti del settore).

Senza alcun dubbio, i dati sono incoraggianti. Considerando la fase d’avvio dell’asset digitale, l’Anac sottolinea che sono state avviate attraverso la piattaforma digitale oltre un milione e seicentocinquantamila procedure di affidamento di contratti pubblici, per un valore di oltre cento miliardi di euro, laddove oltre quattro mila sono le stazioni appaltanti qualificate (al 1° maggio 2024), di cui 545 centrali di committenza, che gestiscono gare d’appalto per entità amministrative (o di piccole dimensioni, o non qualificate).

In un sistema digitale non certo all’avanguardia come quello italiano, le amministrazioni convenzionate come centrali di committenza sono più di otto mila. Tra le stazioni appaltanti qualificate, ben 675 raggiungono il livello massimo di punteggio, da intendersi quali realtà amministrative che possono disporre di gare per servizi e forniture senza limiti di importo.

Da ultimo, da apprezzare è l’immediata funzionalità della piattaforma per la pubblicità legale degli atti che da un lato assicura un’ampia pubblicità dei bandi di gara su un unico portale digitale, facilmente consultabile in maniera unificata e, dall’altro lato, si collega con l’Ufficio delle Pubblicazioni dell’Unione europea, il quale consente un’immediata conoscibilità dei bandi a tutti gli operatori del settore.

Se promettenti possono considerarsi i dati sin qui evidenziati, non poche sono le incertezze e gli aspetti critici ancora presenti.

In primo luogo, essi si palesano in merito alla piena operatività del fascicolo virtuale dell’operatore economico.

Tale strumento permette l’accesso ai documenti comprovanti il possesso dei requisiti per l’affidamento dei contratti pubblici – consentendo, da un lato, alle imprese di fornire una sola volta i documenti richiesti per la gara e, dall’altro lato, permettendo alle stazioni appaltanti di accedere con facilità ai dati degli enti certificanti che comprovano il possesso dei requisiti demandati.

Il mancato perfezionamento della comunicazione fra le banche dati dell’Anac e quelle degli enti certificanti non consente la piena operatività del principio del once only, che le pubbliche amministrazioni dovrebbero garantire in modo da facilitare, velocizzare e rendere sicura la fase di affidamento.

È essenziale assicurare all’interoperabilità tra i sistemi telematici, da realizzarsi, come noto, attraverso le interfacce applicative (API): il pieno dispiegamento di questo criterio tecnico e organizzativo permette un risparmio di tempo nell’acquisire i dati e le informazioni pertinenti a ogni contratto, consentendo la tracciabilità e la trasparenza, mediante tecnologie che sono peraltro già previste dal Codice dell’amministrazione digitale (sul tema, in generale, si veda quanto scritto per l’Osservatorio da Alessio Angelucci ed Eugenia Partone in Interoperable Europe Act: l’Unione europea alla sfida dell’interoperabilità per il miglioramento dei servizi pubblici digitali; si veda anche, per le parti di pertinenza, la strategia cloud Italia su cui si veda il contributo di Emanuele Vecchione e Jacopo Palli).

Ancora, sono limitate le piattaforme digitali certificate che risultino interoperabili con la Piattaforma dei contratti pubblici dell’Anac, attraverso cui le amministrazioni pubbliche svolgono le gare. Le sessanta piattaforme a oggi riconosciute, infatti, non sono in grado di fornire un sistema di e-procurement pienamente funzionante come stabilito all’interno dell’art. 25 del Codice. Le piattaforme, tuttavia, sono di grande rilevanza, in quanto costituiscono il centro nevralgico della struttura digitale, operando a stretto contatto con i servizi della Piattaforma nazionale degli appalti e, attraverso questa, con la Banca dati nazionale dei contratti pubblici.

Risulta difficoltoso immaginare la digitalizzazione completa degli affidamenti allo stato attuale. In altri termini, per consentire il reale funzionamento del sistema di e-procurement, così come pensato dalla riforma, è necessario che l’ecosistema nazionale di approvvigionamento digitale e le piattaforme digitali divengano strumento imprescindibile per gestire le fasi della commessa pubblica, contingenza ad oggi non realizzabile data la pochezza degli strumenti a disposizione. Tale lentezza nell’ammodernamento infrastrutturale implica, inevitabilmente, il ritardo nel raggiungimento degli obiettivi fissati dalla riforma, tra cui, su tutti, spiccano: la trasparenza del procedimento; la maggiore efficienza nella gestione dei procedimenti in virtù di una rapida circolazione dei dati oltre che la riduzione dei tempi di questi ultimi.

Da ultimo, il problema persistente è rappresentato dall’incapacità delle amministrazioni interessate a usare in modo efficiente ed efficace il cospicuo numero di dati in loro possesso. È ancora opportuno ricordare che il reale slancio del sistema contrattualistico può iniziare solo da una rivoluzione che poggi le basi, in primis, sull’accrescimento e sul potenziamento della preparazione delle amministrazioni pubbliche e delle persone che operano all’interno di esse, in collaborazione con gli operatori privati operanti nel settore dei contratti pubblici. Il pieno sfruttamento e la condivisione dei dati, infatti, consentirebbe una velocizzazione dei procedimenti di gestione lungo tutto il ciclo di vita degli appalti, garantendo, d’altra parte, la piena fruibilità e trasversalità del dato, laddove, persiste ancora oggi, nella prassi, la necessità di dover comunicare i dati per implementare le banche dati appartenenti ad altri soggetti pubblici.

Nonostante possano essere accolte con esito positivo le prime rilevazioni sullo stato di avanzamento del comparto digitale, necessità prioritaria, per il positivo raggiungimento degli obiettivi fissati dal legislatore con il nuovo Codice, permane la completa implementazione dell’e-procurement.

I dati hanno ancora oggi potenzialità ignote, che solo in virtù di infrastrutture e regole adattabili a strumenti realmente performanti, possono consentire il reale slancio verso una gestione della commessa pubblica interamente digitalizzata. Ciò è possibile attraverso un percorso strategico segnato dall’innovatività e dallo sviluppo della informatica, soprattutto di fronte all’utilizzo della cd. intelligenza artificiale. (sul tema, si veda quanto scritto per l’Osservatorio da Maria Bianca Armiento, su come regolare l’intelligenza artificiale a livello globale; o ancora da Gianluigi Delle Cave, in merito alla tutela per l’utilizzo dell’IA).

Tra algoritmi semplici e strumenti di machine learning, infatti, tali tecniche possono diventare congegno formidabile per la gestione efficace ed efficiente degli appalti, necessitando però, in via prioritaria, di dati qualificati, certificati ed attendibili, di cui la pubblica amministrazione deve dotarsi e che deve saper sfruttare (si veda, in merito, quanto affermato dal Consiglio di Stato, come evidenziato per l’Osservatorio da Alessandra Mattoscio).

 

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