Le memorie di Arturo Carlo Jemolo (1891-1981), destinato a diventare, dopo l’esordio nell’impiego di Stato ad appena 21 anni, uno dei più grandi giuristi italiani, eminente docente di diritto ecclesiastico. Colpisce qui – siamo tra il 1911 e il 1920, quando finì la permanenza di Jemolo nella amministrazione – la testimonianza sulle diversità della burocrazia dell’epoca giolittiana: i «vecchi», al Fondo per il culto («atmosfera irrespirabile per giovani che si cibassero di Croce e Salvemini») e i «giovani», nel grande Ministero dei lavori pubblici, all’epoca serbatoio di intelligenze e di talenti. La burocrazia, verrebbe da concludere, non è mai del tutto eguale, tanto meno a un certo cliché negativo che se ne è diffuso in tutte le epoche: ha anche zone nelle quali spira il vento del cambiamento.
Entrai in burocrazia quando compivo i ventun’anni, nel 1912, segretario di 4a classe all’Amministrazione del Fondo per il culto: non restai lì che tre mesi.
La sede era bellissima, l’attuale Angelicum, il vecchio edificio conventuale dei Santi Domenico e Sisto, sopra Magnanapoli: da quelle finestre lo sguardo spaziava lontano, in una Roma molto più piccola dell’attuale, dove Monte Mario ed il Gianicolo erano ancora zone di verde ininterrotto; al di sotto, quasi a strapiombo, i fori imperiali – esisteva ancora l’ovale del Foro Traiano – vicinissima la torre delle Milizie, quasi di fronte il Quirinale. In quel brevissimo periodo rividi ancora il mondo impiegatizio del tempo di mio padre.
Era un’amministrazione di vecchi, entrati per vie diverse, molti senza concorso, pochi nei gradi più alti con titoli di studio. C’era tra i più modesti impiegati pure un ottantenne (malgrado la legge fissasse anche allora a 75 anni l’età normale di collocamento a riposo, non era raro nella vecchia burocrazia trovare dei vegliardi, tenuti talora per spirito di carità, ma tal’altra perché erano le rotelle più efficaci dell’ingranaggio. (…).
Dopo tre mesi passavo al Ministero dei Lavori pubblici: ambiente radicalmente diverso; un’amministrazione di giovani, semenzaio di futuri professori universitari, uomini politici, governanti di colonie, altissimi burocrati. Pochissimi vecchi: predominavano nettamente i giovani. Si erano già effettuate e si effettuavano carriere rapidissime (Meuccio Ruini, capodivisione a 35 anni, direttore generale a 36, consigliere di Stato prima dei 40, costituiva per altro un record da nessun altro raggiunto); abbondavano gli impiegati con interessamenti culturali, si parlava ampiamente di romanzi, di mostre d’arte; ci si trovava in gran numero ai concerti domenicali e del mercoledì sera all’Augusteo.
Arturo Carlo Jemolo, Anni di prova, Vicenza, Neri Pozza, 1969, pp. 87-88.