Il World Economic Forum studia la blockchain colombiana per prevenire la corruzione amministrativa. Ma in Italia a che punto siamo?

È appena stato pubblicato dal WEF un interessante rapporto di ricerca che studia il fenomeno corruttivo in Colombia, mettendolo in relazione con la tecnologia blockchain. Uno strumento, questo, che tra i sistemi attualmente disponibili per arginare condotte illecite in ambito governativo, sembra offrire le maggiori garanzie di sviluppo e di efficiente utilizzo.

 

La corruzione nel settore pubblico è una piaga diffusa a livello globale che, però, raggiunge livelli di intensità maggiore in alcune parti del mondo, tra cui sicuramente la zona sudamericana e, nello specifico, lo stato della Colombia, territorio che il WEF ha preso come parametro di riferimento per studiare questo fenomeno illecito e offrire una strategia tecnologica per contenerlo.

Secondo il rapporto dal titolo “Exploring Blockchain Technology for Government Transparency: Blockchain-Based Public Procurement to Reduce Corruption” pubblicato dal WEF nel giugno 2020, la corruzione prolifera tra le carenze che interessano il settore pubblico in termini di trasparenza, di inadeguatezza nella gestione e conservazione delle informazioni e di scarsa accountability, tutte condizioni che la tecnologia blockchain ha il potenziale di risolvere o, comunque, di ridurre fortemente, in ragione delle sue caratteristiche peculiari: registri di dati distribuiti, decentralizzazione delle informazioni, tracciabilità delle operazioni, durabilità e sicurezza delle informazioni gestite.

Di tale assunto, del resto, non vi sono ragioni per dubitarne, posto che le condotte corruttive pubbliche sono sempre connesse a condizioni di opacità amministrativa.

 

Con il supporto dell’Inter-American Development Bank (IADB) e della Procura generale della Colombia, il World Economic Forum ha così avviato il progetto dal titolo “Unlocking Government Transparency with Blockchain Technology”, il quale mira a gestire le procedure di approvvigionamento pasti del Programa de Alimentación Escolar (PAE) per scolari in condizioni disagiate, un settore dell’amministrazione colombiana particolarmente sensibile alla corruzione.

Le simulazioni hanno dimostrato che il mantenimento dell’anonimato dell’offerente, la stabilità delle informazioni di gara circolanti e la maggiore efficienza nei controlli incrociati di legalità sui partecipanti alla procedura di appalto – tutti elementi che sono agevolmente assicurabili tramite l’utilizzo della blockchain – consentono di realizzare una effettiva strategia di contrasto al fenomeno corruttivo nel settore specifico degli appalti pubblici, ma il vero quesito che appare necessario risolvere è se queste iniziative, da sole, possano ritenersi sufficienti per eliminare il problema.

La risposta, anche secondo il rapporto WEF, è negativa.

Accanto alla tecnologia, infatti, per poter assicurare maggiori livelli di integrità nei sistemi digitali di procurement serve anche avviare delle politiche di gestione e organizzazione amministrativa che possano fungere da solido presupposto alle procedure informatizzate: effettiva pubblicità delle gare, diffusione di white lists/black lists dei partecipanti, facilità di accesso esterno alle informazioni rilevanti, adeguamento della normativa di settore e standardizzazione dei dati, riduzione dei casi di affidamento diretto, comprensibilità dell’offerta e costante benchmarking dei prezzi, agevolazione del monitoraggio civico.

Il messaggio, quindi, che arriva dal WEF e che è senz’altro valido non solo per l’esperienza colombiana ma per il fenomeno corruttivo globalmente considerato, è che la tecnologia non è e non può essere la panacea del problema “corruzione”, pur potendo costituire un valido strumento di supporto nella sua gestione.

E in Italia, terra che per triste tradizione spesso si ritrova a scoprire episodi di intensa corruzione nel settore pubblico a livello sia locale che nazionale, cosa può fare la tecnologia blockchain o, comunque, quale ruolo possono avere le tecnologie dell’informazione in genere considerate nel contrasto all’illecito?

Una premessa è doverosa: prima della tecnologia, all’Italia serve un cambio di mentalità, poiché nel Bel Paese per troppo tempo il termine “informatizzazione” ha coinciso solamente con quello di “digitalizzazione”.

Ma se digitalizzare, ovvero passare dalla carta al bit, è utile in termini di fruibilità e conservazione dei dati, l’ingresso delle nuove tecnologie nell’amministrazione pubblica non può continuare a ridursi alla semplice preoccupazione di certificare la provenienza del dato (tutti conosciamo la pletora di dispositivi token, smart card, smart usb, remote signature, Spid, necessari allo scopo) e deve, invece, rivolgersi verso una migliore funzionalizzazione dei processi, di cui tutta la normativa interna in materia di trasparenza amministrativa è un primo, per quanto rilevante, esempio di approccio concreto.

Ad esso, però, deve necessariamente seguire un ulteriore scatto operativo in cui la blockchain, in particolare, oltre ad assicurare i tipici vantaggi della autocertificabilità delle informazioni e della relativa loro sicurezza rispetto a forme di manipolazione dall’esterno, si dimostri un effettivo strumento di sussidiarietà orizzontale e di amministrazione condivisa e non più, solo, di semplificazione amministrativa.