Il divario tra grado di sviluppo delle nuove tecnologie (in particolare di quelle di riconoscimento) e loro utilizzo per i più svariati fini, da un lato, e livello di regolazione e tutela dei diritti fondamentali, dall’altro, è particolarmente allarmante nella Repubblica Popolare Cinese. La Cina, infatti, pur avendo uno dei più pervasivi apparati di sorveglianza biometrica al mondo, sia nel pubblico che nel privato (i primi esperimenti con l’uso del riconoscimento facciale per pagare si sono visti già nel 2017), manca ancora di un adeguato quadro normativo sulla protezione dei dati personali. Di recente tuttavia, l’esigenza di porre dei limiti all’uso di tecnologie di riconoscimento facciale sembra farsi strada anche nell’ordinamento cinese.
La crescita delle tecnologie di sorveglianza basate sulla biometria appare oggi inarrestabile. Parallelamente è ormai diffusa la consapevolezza sui rischi degli usi potenzialmente dannosi di tecniche, come il riconoscimento facciale, basate sull’intelligenza artificiale e sull’uso di algoritmi, specie se in funzione predittiva (se ne parla, su questo Osservatorio, qui e qui).
In questo scenario, sebbene si stia assistendo ai primi tentativi di regolazione (ad esempio negli USA su cui, su questo Osservatorio, si veda qui, e nell’UE, su cui si v. qui), stenta, tuttavia, ad affermarsi sia a livello nazionale, sia globale, un adeguato quadro regolatorio che, senza ostacolare gli sviluppi delle nuove tecnologie, protegga i diritti fondamentali delle persone (sulla scarsa diffusione di un quadro regolatorio in materia si veda, su questo Osservatorio, qui e qui). L’uso diffuso di telecamere che acquisiscono dati biometrici pone seri dubbi sul rispetto del diritto alla privacy e genera, soprattutto in alcuni ordinamenti, fondati rischi di uso con finalità di controllo sociale (se ne parla anche qui).
Il divario tra grado di sviluppo delle nuove tecnologie (in particolare di quelle di riconoscimento) e loro utilizzo per i più svariati fini, da un lato, e livello di regolazione e tutela dei diritti fondamentali, dall’altro, è particolarmente allarmante nella Repubblica Popolare Cinese. La Cina, infatti, pur avendo uno dei più pervasivi apparati di sorveglianza biometrica al mondo, sia nel pubblico che nel privato (i primi esperimenti con l’uso del riconoscimento facciale per pagare si sono visti già nel 2017), manca ancora di un adeguato quadro normativo sulla protezione dei dati personali.
Di recente tuttavia, l’esigenza di porre dei limiti all’uso di tecnologie di riconoscimento facciale sembra farsi strada anche nell’ordinamento cinese. Nell’aprile scorso, un tribunale cinese, su ricorso di un cliente contro uno zoo che aveva installato telecamere all’ingresso e richiedeva il riconoscimento facciale per entrare, aveva imposto allo zoo la cancellazione dei dati biometrici raccolti (se ne parla su questo Osservatorio qui).
Sulla scia di questa sentenza, la Commissione legislativa del Congresso del popolo cinese ha avanzato una proposta per una legge sulla tutela dei dati personali Personal Information Protection Law (PIPL) attualmente in fase di discussione sulla seconda bozza.
Nelle more dell’approvazione del “GDPR cinese”, attesa per fine anno, il 27 luglio 2021 è poi intervenuta la Corte Suprema del Popolo della Repubblica Popolare Cinese che, pronunciandosi sull’uso di tecnologie per il riconoscimento facciale, ha stabilito che la raccolta e l’analisi dei dati attraverso il tracciamento facciale, per scopi di lucro, può avvenire solo con il consenso dell’interessato.
Le c.d. “Disposizioni” adottate dalla Corte suprema (un totale di 16 articoli), entrate in vigore lo scorso agosto con valore di precedente giurisprudenziale vincolante per i Tribunali, precisano che le informazioni facciali vanno fatte rientrare nella categoria delle “informazioni biometriche” di cui all’articolo 1034 del Codice Civile della Repubblica Popolare Cinese, che rientrano a loro volta, nell’ambito delle informazioni personali protette in base alla legge cinese. Ne consegue, secondo quanto si legge nelle Disposizioni, che il trattamento delle informazioni facciali deve rispettare i “principi di legalità, legittimità e necessità”, e devono essere indicati espressamente all’utente la finalità, le modalità e l’ambito del trattamento. L’utente, infine, ricevute queste informazioni dovrà espressamente manifestare o negare il proprio consenso. Se l’uso del riconoscimento facciale viola i requisiti di conformità di cui sopra, il Tribunale dovrà pronunciarsi nel senso che l’attività costituisce una violazione dei diritti personali di una persona fisica.
La decisione, che va accolta con favore, rappresenta senza dubbio, per l’ordinamento cinese, una sentenza storica che ridefinisce il legame tra privacy e sorveglianza (su cui su questo Osservatorio, si v. qui), ma che provocherà effetti anche per l’economia considerando gli investimenti che la gran parte delle aziende cinesi sta effettuando per l’introduzione e l’utilizzo di tecniche di riconoscimento facciale per lo svolgimento dei propri affari.
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