La Commissione europea ha proposto un nuovo pacchetto di misure avente ad oggetto un Codice di cooperazione di polizia dell’Unione. Tra gli interventi proposti vi è l’adozione di un nuovo regolamento, il c.d Prüm II, che prevede la consultazione da parte delle forze di polizia di tutti gli Stati Membri di database automatizzati nei quali confluiscono anche i dati biometrici dei cittadini europei. Diverse perplessità sono state però già espresse in merito, in particolare con riguardo alla tutela della privacy e all’utilizzo dei sistemi di riconoscimento facciale, i quali continuano a registrare negli Stati Uniti ed in Europa dei significativi margini di errore. Oggi, si ripropone quindi con forza il dibattito tra scienza e diritto, tra sicurezza e libertà dei cittadini.
L’Unione europea è chiamata nuovamente a declinare il binomio autorità-liberta, questa volta con riferimento al rafforzamento e al coordinamento dell’attività di polizia tra i diversi Stati membri.
La nuova sede di scontro, anzi di conciliazione dei diversi interessi che la nostra società liberale è chiamata a bilanciare, risiede nella proposta di adozione del c.d. regolamento “Prüm II” presentata dalla Commissione europea l’8 dicembre 2021. Il regolamento dovrebbe riformare la disciplina vigente sullo scambio di dati per la cooperazione delle attività di polizia, costituita da due decisioni del Consiglio del 2008, a loro volta fondate sulla Convenzione “di Prüm” del 2005, e dai regolamenti 2018/1726, 2019/817 e 2019/818.
Il regolamento, in particolare, dovrebbe regolare lo scambio di informazioni tra l’Europol e le autorità dei singoli Stati membri ai fini della prevenzione, indagine ed accertamento di reati. Tale scambio dovrebbe garantirsi non solo mediante la corrispondenza tra l’agenzia europea e le diverse autorità statali ma, innanzitutto, attraverso la più semplice e celere consultazione di appositi database nazionali già esistenti e che dovrebbero essere automatizzati.
La proposta di regolamento, all’art. 3, mira inoltre ad estendere le informazioni ed i dati oggetto di tale scambio automatizzato, venendo a ricomprendere: a) i profili del DNA; b) i dati dattiloscopici; c) le immagini del volto ai fini, dunque, del riconoscimento facciale dei cittadini europei; d) gli estratti del casellario giudiziale; e) determinati dati di immatricolazione dei veicoli, attinenti sia ai veicoli stessi che ai loro proprietari e consultabili in via automatizzata su Eucaris, il sistema europeo d’informazione sui veicoli e le patenti di guida.
L’esigenza posta a fondamento della nuova proposta di regolazione è facilmente intuibile. Nell’odierno mondo globalizzato si va sempre più riducendo la percentuale di organizzazioni criminali che continuano ad operare soltanto all’interno di un singolo Stato, soprattutto nell’Unione dove il carattere transfrontaliero delle attività criminali è facilitato anche dalla tutela delle quattro libertà fondamentali, pilastri dello stesso processo di integrazione europea. Di talché, ad avviso della Commissione, la nuova dimensione transfrontaliera delle organizzazione criminali esige una risposta sovranazionale e, in particolare, un maggiore coordinamento nell’azione delle autorità di polizia nazionali.
Non a caso, il regolamento Prüm II costituisce soltanto una delle misure facenti parte del Codice di cooperazione di polizia dell’UE proposto dalla Commissione sempre l’8 dicembre dello scorso anno. Nel pacchetto di misure rientrano anche una raccomandazione sulla cooperazione operativa di polizia e una direttiva sullo scambio di informazioni tra le autorità di contrasto degli Stati membri per lo svolgimento di attività diverse da quelle di prevenzione e dell’individuazione dei reati, le quali resterebbero disciplinate dal Prüm II. Nello specifico, la raccomandazione concerne i pattugliamenti congiunti e le operazioni di polizia nel territorio di altro Stato membro, mentre la direttiva richiede a ciascun Stato di introdurre un proprio punto di contatto unico, il quale dovrebbe operare quale sportello per garantire lo scambio e l’accesso alle informazioni, in condizioni di parità, da parte degli agenti di polizia di tutti gli Stati membri.
Il progetto della Commissione si è, tuttavia, scontrato con le diverse perplessità espresse, soprattutto con riferimento al Prüm II, da più attori e riconducibili a due questioni principali.
La prima, come intuibile, attiene alla tutela della privacy. In tal senso, il Garante europeo della protezione dei dati e l’organizzazione non governativa European Digital Rights hanno lamentato diverse lacune e carenze della normativa, tali da impedire una valutazione sull’effettiva proporzionalità e necessità delle misure proposte. In particolare, viene contestata la mancata predeterminazione delle fattispecie criminose che possano giustificare la raccolta e la consultazione automatizzata dei dati personali dei cittadini.
La seconda ragione d’allarme riguarda, più nello specifico, il ricorso ai sistemi di riconoscimento facciale; tant’è che il Parlamento europeo già in passato aveva richiesto una moratoria sulla loro diffusione con la risoluzione del 6 ottobre 2021 – della quale già avevamo parlato qui su questo Osservatorio – sull’utilizzo in ambito penale dell’intelligenza artificiale da parte delle autorità di polizia e giudiziarie. L’utilizzo dei meccanismi di riconoscimento facciale continua, infatti, a raccogliere diverse critiche in ragione del significativo numero di errori registrati nella corretta identificazione degli individui.
Peraltro, sono note le discriminazioni razziali insite nei risultati garantiti da tali algoritmi che, ad esempio, negli Stati Uniti presentano dei margini di errore notevolmente più alti nell’individuazione dei soggetti afroamericani piuttosto che di quelli euroasiatici. Discriminazioni quest’ultime che sembrano essere il risultato non tanto di errori computazionali, quanto dei bias culturali e cognitivi della nostra società, i quali inevitabilmente si riflettono anche sulla programmazione degli stessi algoritmi.
Data la vivacità del dibattito in corso nelle sedi europee e nell’opinione pubblica ad oggi non è ancora possibile ipotizzare quale sarà l’esito e, se del caso, il contenuto della proposta di regolamento. Appaiono, ad ogni modo, condivisibili le posizioni di chi, in attesa di un perfezionamento dei meccanismi di riconoscimento facciale, invita a limitarne l’utilizzo per la sola lotta ai crimini di maggiore gravità, la cui individuazione dovrebbe essere fatta a monte dal legislatore. È, dunque, evidente la necessità di un’attenta ponderazione delle esigenze di libertà e di sicurezza dei cittadini, la quale difficilmente può tradursi in una generalizzata raccolta e utilizzo dei dati, anche biometrici, dei cittadini europei.
L’Unione europea deve così guardarsi dalla tentazione di recepire passivamente le nuove tecnologie all’interno dei nostri sistemi amministrativi di sorveglianza, ripetendo così l’errore già commesso a cavallo tra il XIX e del XX secolo quando il positivismo si era illuso che il progresso scientifico conducesse sempre e necessariamente anche ad un progresso umano. Un’illusione questa spazzata via dai due conflitti mondiali, ma che rischia di oggi apparire ancor più seducente alla luce dei continui progressi tecnologici che il diritto con sempre maggiore difficoltà riesce a rincorrere e regolare.
Anzi, il divario tra il progresso scientifico e quello civile costituisce forse una delle più efficaci chiavi di lettura del nostro tempo. D’altronde, se da un lato vi è già la tecnologia necessaria a dar vita alle distopie, più o meno consapevolmente, immaginate nel passato, dal Panopticon di Bentham al Grande fratello di Orwell; dall’altro, sempre più studiosi registrano il cattivo stato di salute delle nostre democrazie, così come del tessuto socio-economico alla loro base.
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