Un’intervista di Ugo La Malfa pubblicata il 30 aprile 1958.
Al governo, dal 19 maggio dell’anno precedente, c’è un debole ministero Zoli, un monocolore democristiano senza maggioranza prestabilita in Parlamento. Deve fungere da soluzione temporanea sino alle elezioni, previste per fine legislatura nel 1958. Porterà infatti faticosamente a compimento la sua funzione, durando sino al 19 giugno.
Ma il prezzo di questi frequenti governi di transizione, detti anche governi ponte o balneari (per la loro frequenza in estate), è sempre lo stesso: un sostanziale blocco delle politiche di lungo respiro, sostituite da poco più della mera amministrazione quotidiana.
L’insofferenza di La Malfa, che nel febbraio 1957 ha ritirato dall’allora governo Segni la delegazione repubblicana (poi seguito in maggio da un analogo ritiro dei socialdemocratici), traspare qui chiarissima. Così come si intravede il suo pessimismo di fondo (o forse piuttosto realismo) sulle carenze endemiche che egli intravede nel sistema dei partiti in Italia e specificamente nella Dc, che ne rappresenta l’asse centrale.
- Lei ha accennato a processi involutivi nella vita politica italiana. Quali?
A parte il fatto della crescente influenza clericale, prenda il terreno economico e sociale. Proprio oggi ho scritto un articolo sul programma democristiano. In esso c’è l’abbandono totale del Piano Vanoni come prospettiva.
E ho parlato della esperienza del ’50-’53. Quella esperienza parziale, la riforma agraria, la riforma tributaria ecc. portò Vanoni, che era un uomo aperto, per lo meno alla configurazione di una spinta generale.
Il Piano Vanoni non è che la conseguenza di esperienze parziali. Noi avevamo una conoscenza culturale del problema meridionale. Abbiamo fatto l’esperienza della Cassa per il Mezzogiorno, ma poi ci siamo accorti che il problema delle aree depresse non è un problema soltanto meridionale, è un problema generale del Paese. (…) Il Piano Vanoni era il punto di arrivo di un’esperienza di governo molto interessante.
- Lei pensa che il programma Dc rappresenti un abbandono di tutto ciò?
È rimasto solo il titolo. Ma ci sono altre cose gravi. Nel programma si dice che un’azienda statale deve essere limitata attraverso la presentazione di una legge per ogni sua nuova creazione. Questo equivale a confessare che non abbiamo un potere esecutivo capace neanche di controllare un’azienda statale (…).
- Lei è pessimista…
Cosa vuole, questa società italiana sembra aver perduto ogni prospettiva. Si tiene i grattacieli di Milano e i bambini e i cani randagi che dormono insieme a Cutro. (…) Fa la polenta statalismo-antistatalismo così a vuoto, affidandosi alla cultura economica di un don Sturzo, oppure alle escogitazioni di un Malagodi, che ha fatto tutta la sua carriera in un’azienda controllata dallo Stato come la Banca commerciale.
Il campo profughi di La Malfa e Cattani, in “Il Giorno”, 30 aprile 1958.