Le città rappresentano un costante campo di sperimentazione per policies innovative e approcci sensibili al tema della sostenibilità ambientale volti alla promozione di nuovi modi di vivere. La conversione del servizio pubblico al modello digitale rappresenta un’occasione unica per soddisfare sempre di più e sempre meglio vecchi e nuovi bisogni della collettività.
Le problematiche che le città si trovano ad affrontare in maniera sempre più urgente sono legate alla scarsità delle risorse, all’inquinamento, alla gestione dei traffici, allo smaltimento dei rifiuti, etc.. Sicché, al crescere della densità abitativa e al conseguente intensificarsi dei problemi legati alla gestione delle moltitudini, si è andata affermando l’idea che le città che meglio rispondono a tali problematiche siano quelle maggiormente in grado di sfruttare i benefici del progresso tecnologico. Si è formato pertanto un nuovo approccio alla questione urbana che va sotto il nome di Smart city: un concetto polisemico, per consuetudine legato all’integrazione virtuosa della tecnologia nella governance pubblica sì da semplificare la resa dei servizi e dunque migliorare la qualità della vita dei cittadini.
Cionondimeno, a fondamento di questo nuovo approccio vi sono almeno altre due fondamentali caratteristiche diverse da quelle relative alla digitalizzazione, quali la condivisione (degli spazi e delle risorse) e la predilezione dell’iniziativa privata. Così il concetto di Smart city è diventato nel tempo sinonimo anche di città inclusive e sostenibili, nonché un impulso verso lo sviluppo dei territori e la valorizzazione del rapporto cittadino-servizi, quest’ultimo in particolare improntato a una sempre maggiore prossimità.
Nell’ambito europeo, poiché i Trattati non conferiscono alcuna competenza specifica nella materia urbanistica, vi sono prevalentemente atti di soft law. Ciononostante, sin dal 1997 con la Comunicazione della Commissione Europea “La problematica urbana: orientamenti per un dibattito europeo”, la questione urbana è entrata a far parte di un percorso di formalizzazione di obiettivi condivisi dagli Stati membri con la conseguenza positiva di concentrare l’attenzione su questi temi e di farli convergere su un’idea di “città del futuro”.
Questo modello di sviluppo urbano sostenibile a livello europeo è stato definito acquis urbano: un concetto che riflette l’idea di un diritto acquisito comunitario incentrato sugli obiettivi politici che accomunano e vincolano gli Stati membri dell’Unione Europea. A ben vedere, i princìpi applicati alla città del futuro corrispondono ai diritti affermati dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea proclamata a Nizza nel 2000, fra cui rientrano il diritto all’inclusione, all’ambiente e allo sviluppo sostenibile (art. 37), il diritto alla partecipazione e all’indipendenza degli anziani (art. 25), all’autonomia e all’inclusione del disabile (art. 26), al benessere e alla protezione del bambino (art. 24), alla protezione della salute (art. 36).
È opinione condivisa che dal connubio tra la rivoluzione digitale e la governance pubblica possono derivare vantaggi precedentemente insperati. Per tale motivo i fondi Next Generation EU e il Green Deal europeo conferiscono alle città un’ingente dotazione economica per l’investimento in nuovi sistemi di Intelligenza Artificiale. D’altro canto, il ricorso massivo ai sistemi di intelligenza artificiale suggerisce di dare una risposta alla problematica etica sottesa alla loro diffusione in assenza di adeguate tutele per chi le utilizza. In tal senso, di grande impatto innovativo è la proposta di regolazione sull’IA della Commissione Europea, per una regolamentazione dell’utilizzo dei sistemi di I.A. secondo un approccio basato sul rischio (risk based approach), prevedendo una diversa regolazione a seconda della gravità del rischio stimata da una classificazione e assicurando la certezza del diritto. Questo importante passo in avanti ha avuto l’effetto di porre l’Unione Europea alla stregua di un soggetto regolatore su scala mondiale, poiché le regole comunitarie si applicano a qualunque soggetto voglia introdurre sistemi di I.A. nel mercato unico europeo (non a caso si è soliti parlare, con una suggestiva espressione, di “effetto Bruxelles”).
Nel settore dei trasporti i sistemi di I.A. rappresentano un elemento di grande innovatività in quanto assolvono a numerose funzioni di ottimizzazione delle prestazioni. Nuovi strumenti come il deep learning, i dispositivi IoT dotati di sensori, l’edge computing, offrono la possibilità di estrapolare un preciso significato dai numeri incrementando la scalabilità delle smart cities. I dati sono quindi utili a identificare modelli che rivelano informazioni preziose, come ad esempio il monitoraggio dei flussi di traffico può aiutare a determinare l’ora giusta per i lavori di manutenzione stradale e ridurre l’impatto sugli utenti della strada.
A tal riguardo degno di nota è il progetto, promosso dal dipartimento per la Trasformazione Digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che porta il nome di Maas for Italy (acronimo di Mobility as a Service). Questo rivoluzionario progetto nasce dall’idea di riunire più servizi di trasporto pubblici e privati combinabili tra loro in un unico servizio accessibile digitalmente. Verrebbe così ad affermarsi nelle nostre città un nuovo servizio digitale che offra agli utenti la possibilità di acquistare titoli di viaggio, prenotare mezzi di trasporto a basso impatto ambientale, diversificare l’offerta dei servizi di trasporto coprendo capillarmente il territorio e rendendo così fluido lo spostamento anche al di fuori delle aree urbane. Tali nuove possibilità richiedono di essere interpretate, soprattutto alla luce delle sfide poste dalla tutela dell’ambiente naturale, come un tassello fondamentale per la promozione di una mobilità sostenibile.
Secondo il DESI (Digital Economic Society Index), lo strumento adoperato su scala europea per misurare l’incidenza dei servizi pubblici digitali in un territorio, nel 2022 in Italia l’indicatore di e-Government si è attestato su 58 punti su 100, mentre nel medesimo anno l’indicatore relativo alle competenze digitali individuali base (informazione, comunicazione, risoluzione dei problemi, software per la creazione di contenuti e sicurezza) si è affermato, con 8 punti sotto la media europea, su un punteggio di 45 su 100.
Questi numeri, oltre a testimoniare una condizione di arretratezza non trascurabile circa l’efficientamento delle città italiane, pongono un quesito fondamentale: è ancora possibile intendere l’efficienza se non sotto un profilo di sostenibilità ambientale? Un simile punto di vista oggi dovrebbe informare le azioni di chi governa e orientare le scelte dei cittadini (utenti e consumatori) e dei produttori di servizi. E ciò non tanto al fine di imporre soluzioni digitali a qualunque costo, ma, pur considerando il loro apprezzabile impatto ambientale, per cogliere una grande opportunità di miglioramento e di semplificazione.
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