Una forse dimenticata intervista del giornalista Giorgio Vecchietti all’allora ministro della riforma amministrativa Giorgio Bo. Si legga la gustosa descrizione iniziale della lettera d’ufficio fitta di timbri e affrancature casuali e chiusa con la ceralacca. E poi la sintesi (il pezzo di Vecchietti è più diffuso: qui se ne ricava un estratto) delle dodici “proposte” (così le chiama il ministro) di altrettante riforme “da farsi subito”.
Era il mese di giugno del 1959: sogno di una notte di mezza estate.
Il ministro senatore Giorgio Bo annuisce, apre un cassetto della scrivania, ne tira fuori una vecchia busta, la posa tra noi due. Sulla cartella. Poi comincia ad illustrarla pazientemente, con distacco scientifico, come se avesse davanti un fossile o il frammento di un vaso antico. La busta è di una lettera che un ufficio amministrativo statale inviò a lui mesi or sono per rimborsarlo di una piccola spesa. Lasciamo andare l’indirizzo, “On. Giorgio Bo presso il Ministero dell’Industria e commercio”, che è stato corretto a penna due volte, con il rinvio alla Camera prima al Senato poi, come se al palazzo di via Veneto [la sede del ministero] tutti avessero perduto la memoria di colui che fino a pochi giorni avanti era stato il loro ministro. Ciò che incuriosisce di più sono i tre francobolli appiccicati di qua e di là, in un modo difficilmente imitabile. Nemmeno gli analfabeti si sentono, al giorno d’oggi, così smarriti di fronte al problema dell’affrancatura. Sul rovescio della busta quattro grossi sigilli di ceralacca che portano tra l’altro il peso della legge a “grammi 16”, debitamente indicati alla fine di una riga stampigliata.
Il ministro riprende in mano quel fossile statale e mi invita a immaginare la scena nella sua fase estrema, con il dattilografo che batte l’indirizzo, il fattorino che attacca i francobolli, l’archivista che accende la candela, scioglie la ceralacca, magari riaccende la candela che si è spenta, sigilla, pesa, stampiglia. Insieme conveniamo che con quel cerimoniale e quel ritmo non è possibile spedire più di dieci lettere all’ora.
(…) Il ministro della riforma si sta occupando di grosse questioni costituzionali, il riordinamento dei ministeri (siamo già al diciannovesimo), i progetti per la definizione dei compiti della presidenza del Consiglio, la riforma del Senato e così via. Ma sono proprio le proposte minori, ispirate dalla busta coi sigilli di ceralacca, quelle che lo interessano di più.
Bo le viene elencando e commentando:
Uno, egli dice, “le relazioni pubbliche” (…). “Aumentare, in pratica, gli uffici di informazione con cartelli, segnali, e stare attenti che questi avamposti funzionino sul serio, non arrestino invece di accelerare la marcia del cittadino”.
Due, “la sala di vetro”: (…) “ripulire i vecchi uffici, abolire le paratie, ricavare una sala più vasta con gli impiegati a portata di mano, la tabella col loro nome e la loro specializzazione bene in vista” (…).
Tre, “alleggerire l’onere della documentazione a carico del cittadino. Semplificare le procedure. Quando, come per il passaporto o altre pratiche, siano richiesti più documenti, il cittadino sia tenuto a presentare la domanda in carta bollata e spetti poi all’amministrazione l’obbligo di provvedere a tutto il resto. Ci sono già alcune disposizioni in proposito. Bisogna applicarle dove esistono, integrarle con altre dove manchino”.
Quattro, “reprimere l’abuso dei pareri facoltativi”, “eliminare i carteggi e ricorrere al telefono”.
Cinque, “maggiore decentramento interno, nell’ambito delle varie amministrazioni, di compiti e di funzioni”. (…).
Sei, “miglioramento degli strumenti, con un impiego più largo di impianti meccanografici, di nuove tecniche di lavoro”.
Sette, “la stenografia. Merita un paragrafo a parte come la dattilografia. Bisogna introdurla in ogni ramo dell’amministrazione statale, farla valere come titolo ai concorsi”. (…).
Otto, “Soppressione delle spese non indispensabili. Eliminare l’abuso degli automezzi dello Stato non adoperati per l’ufficio, ridurre gli oneri eccessivi delle segreterie particolari, che si riempiono di troppe persone, evitare gli sprechi di cancelleria ecc.” (…).
Nove, “se non ridurre, almeno non aumentare il personale, cioè non bandire nuovi concorsi tenendo conto della necessità di equilibrare i vari settori. E non indulgere nemmeno nelle troppe proposte di introdurre negli organici avventizi e appartenenti ai cosiddetti ruoli transitori”.
Dieci, “completare il decentramento amministrativo. Mi riferisco alla legge del 1953 che dispose che funzioni e competenze delle amministrazioni centrali venissero attribuite ad organi periferici. Il decentramento è stato esteso a 15 ministeri. Risultano esclusi quelli del bilancio, delle partecipazioni statali e del commercio estero. (…) È però da rilevare che non tutti i provvedimenti emanati hanno avuto finora piena attuazione: resta ancora non poco da decentrare coi fatti, dopo il decentramento scritto”.
Undici, “evitare doppioni e conflitti di competenze. Per una medesima questione ci si trova spesso alle prese con quattro o cinque amministrazioni pubbliche contemporaneamente”.
Dodici e ultimo, “abolire i proventi delle contravvenzioni a favore degli agenti pubblici (…). È un residuo medievale che fa del rappresentante dello Stato una sorta di appaltatore”.
Il ministro Bo ha finito di enumerare e illustrare i suoi punti, che egli preferisce chiamare, meno diplomaticamente, proposte: ma proposte da attuare, soggiunge. Speriamo bene. Sarebbe un peccato che tanti buoni propositi andassero in fumo. Teniamo comunque aperto il nostro elenco: quello degli aneddoti sulla vecchia macchina dello Stato.
Intervista di Giorgio Vecchietti a Giorgio Bo, ministro della riforma della pubblica amministrazione, in “Epoca”, 14 giugno 1959; poi in G. Bo, Verso lo Stato moderno, Firenze, Vallecchi, 1960, pp. 287-294.