I social media migliorano la democrazia?

L’avvento dei social media ha rivoluzionato l’approccio alle reti digitali e non, incidendo direttamente sulle modalità di interazione delle persone, creando piazze virtuali con miliardi di utenti, che sovente le eleggono a principale veicolo di informazione, mezzo di condivisione di esperienze e base per nuove attività lavorative. Ampi sono i riflessi economici e sociologici dell’impatto dei social sulla società odierna. Se pensiamo alla sfera pubblica di Habermas – uno spazio di interazione sociale dove i cittadini discutono e formano opinioni su questioni di interesse comune – risulta evidente l’importanza di osservare il ruolo di tali piattaforme nell’orientamento del dibattito pubblico, i rischi e le opportunità che ne derivano.

 

Nei primi mesi dell’anno in corso, il think-tank americano Pew Research Center, noto per le ricerche in campo socio-demografico e politico, ha pubblicato i risultati di uno studio effettuato su 27 paesi, relativo agli effetti dei social media nello sviluppo della democrazia.

Lo studio è stato condotto mediante interviste su un campione di cittadini per ciascuno degli Stati oggetto dell’analisi e risulta di particolare interesse per la mutevolezza degli orientamenti assunti nei diversi Paesi, benché la maggioranza, in termini assoluti, consideri i social uno strumento utile per le democrazie.
Se nei paesi in via di sviluppo e nelle economie emergenti il giudizio complessivo è positivo o molto positivo, in alcune delle cosiddette democrazie stabilizzate il dato subisce variazioni considerevoli. Mentre in Kenya, Nigeria, Brasile e India, tra il 70 e l’80 percento degli intervistati esprime un parere pienamente favorevole, nei paesi europei come Germania e Italia, i riscontri positivi diminuiscono, attestandosi intorno al 60%. I dati di maggiore impatto provengono invece da Belgio, Regno Unito e Canada in cui le opinioni si assestano su un tendenziale pareggio, fino a giungere al caso di Francia e USA dove il riscontro degli intervistati diventa negativo o molto negativo.

Gli Stati Uniti, in modo particolare, segnano un riscontro ostile all’impatto dei social media sulla democrazia. Un dato che, se rapportato agli eventi delle ultime tornate delle elezioni presidenziali o al periodo pandemico, risulta comprensibile per l’utilizzo ampiamente distorsivo dei social media per influenzare le intenzioni di voto o veicolare insidiose fake news in materia sanitaria (ne abbiamo scritto qui).
Già all’indomani dello scandalo Cambridge Analytica che dominò per mesi la cronaca politica internazionale, Amnesty International metteva in guardia dai pericoli di manipolazione dell’opinione pubblica perpetrabili tramite i social, ponendo l’attenzione sulla facilità di diffusione di ampie campagne di disinformazione e marcando alcune questioni dubitative circa gli effetti di possibili strumenti regolatori in materia (ne abbiamo parlato qui e qui).

L’ampiezza e la complessità dell’impatto dei social sulla democrazia emergono con una forza tale da rendere ineludibile un approccio critico al fenomeno. In questa prospettiva è opportuno lumeggiare, almeno nei tratti più rilevanti, le opportunità e i rischi che richiederanno una sempre maggiore attenzione e un impegno su più fronti: enti regolatori, soggetti detentori di piattaforme, ma anche da parte della società civile.

Tra le potenzialità possiamo annoverare, in primo luogo, l’incremento della partecipazione politica, in particolare in forza delle caratteristiche intrinseche di queste piattaforme come la connettività globale e l’immediatezza comunicativa, che facilitano la circolazione delle idee e la sensibilizzazione su temi sociali. In questa prospettiva è in aumento la creazione di ambienti digitali dedicati come le piattaforme digitali partecipative, volte esplicitamente ad ampliare la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali a vari livelli istituzionali (ad es. Futurium).

In secondo luogo, un’altra importante opportunità è quella di promuovere governi più trasparenti e responsabili, a fronte della capacità di diffusione rapida delle informazioni. Scelte politiche, azioni governative e amministrative possono, infatti, tutte essere sottoposte con estrema facilità all’opinione pubblica.

Più controversa è, invece, l’opportunità di empowerment delle minoranze, ciò in quanto da un lato possono essere espresse, e quindi oggetto di attenzione e ascolto, anche voci rappresentative delle minoranze, dall’altro però il digital divide può influire significativamente, portando ad una rappresentazione limitata o distorta.

Per richiamare i rischi è necessario guardare sia alle caratteristiche ormai tradizionali dei social media, e cioè al loro assetto, che alla strumentalizzazione che ne può essere fatta.

Sotto il primo profilo, l’assetto dei social, possiamo richiamare il pericolo di polarizzazione e radicalizzazione. Al fine di favorire un maggior utilizzo dei social stessi, le piattaforme – mosse da finalità commerciali – tendono, infatti, a proporre e diffondere maggiormente proprio le notizie e le opinioni che confermano i bias preesistenti, così isolando gli utenti con visioni divergenti. Il fenomeno è noto come “filter bubble” ed è un effetto derivante dall’impiego di algoritmi di personalizzazione.

Sotto il secondo profilo, quello strumentale, è importante evidenziare la posizione dominante di cui godono le Big Tech, che possono influenzare non solo la sfera economica, i mercati, ma l’ecosistema informativo, incidendo sulla sfera sociale. Da ciò deriva una forte tensione tra i poteri privati, di fatto, e la necessità di tutelare la libertà di espressione, il dibattito pubblico, la partecipazione quali strumenti anche tesi a delineare l’interesse pubblico.

Un’altra minaccia alla qualità della democrazia che si inserisce all’interno della possibilità di un utilizzo strumentale dei social è quello dell’impatto dell’hate speech, come strumento a sostegno della disinformazione, soprattutto al fine di delegittimare avversari politici o gruppi sociali. Diversi possono essere gli esempi di un utilizzo distorsivo dei nuovi media da parte della politica, dalla micro-targetizzazione dei contenuti all’effetto echo-chamber.

Emerge la necessità di interrogarsi sulla regolazione europea attuale e se questa possa supportare uno sfruttamento delle opportunità offerte dai social media e, al contempo, mitigare i rischi.

E’ opportuno ricordare che l’Unione Europea ha dimostrato una crescente attenzione al digitale, dal quale i social non sono certo avulsi, e richiamare i più rilevanti interventi a livello comunitario: Digital Governance Act, Digital Act e Digital Service Act (ne abbiamo discusso qui), tesi a rendere l’ambiente digitale sicuro e definire regole della società digitale nella tutela dei diritti fondamentali, Digital Market Act (ne abbiamo parlato qui), sull’attività dei grandi gestori di piattaforme, infine, il nascente e ambizioso AI Act (ne abbiamo scritto qui), che vieterà pratiche contrarie ai principi dell’Unione forte della consapevolezza che l’intelligenza artificiale può essere strumento di manipolazione e controllo sociale.

In conclusione, i social media sono portatori di potenziali benefici e gravi rischi per la democrazia in generale e per il dibattito pubblico in particolare, vanno senz’altro apprezzati gli interventi dell’Unione Europea volti a regolare diversi aspetti della società digitale, tuttavia sarà necessario gestire la dualità passando attraverso, non solo un’attenta regolazione, ma anche il superamento del digital divide e una maggiore responsabilizzazione degli utenti, oltre che dei gestori delle piattaforme.

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